Morbo Alzheimer: i tanti ricordi, non ti scordar di me

Morbo Alzheimer: i tanti ricordi, non ti scordar di me

Morbo Alzheimer: i tanti ricordi, non ti scordar di me

Non dimentichiamoci di chi non può più ricordare

Fermiamo l’Alzheimer

 

Morbo Alzheimer

“Morbo Alzheimer: Un uomo che ho avuto la fortuna di chiamare padre amava tantissimo il suo lavoro.

Era la sua vita. Non si fermava mai.

Un lavoro fatto di responsabilità e di problemi quotidiani, di numeri, di leggi che cambiano in continuazione e di rapporti frequenti con le persone.

Ma un bruttissimo giorno tutto questo finì.

Niente più numeri, niente più ricordi.

Mio padre, come l’avevo conosciuto, non esisteva più.

In casa nostra era arrivato l’Alzheimer.

Un ospite crudele e subdolo che non avresti mai voluto conoscere e ricevere.”

Questa triste storia è uguale a tantissime altre storie di tantissime altre famiglie che come la mia hanno avuto la sfortuna di avere a che fare con questa terribile malattia.

Il morbo di Alzheimer è un malattia degenerativa del cervello, ad oggi incurabile, che a partire dalla memoria, prima recente poi a lungo termine, distrugge progressivamente tutte le facoltà cognitive del malato rendendolo incapace di essere autonomo e di avere una vita sociale.

 

Morbo Alzheimer

Alzheimer nel mondo

Purtroppo le proporzioni di tale malattia stanno assumendo ormai l’aspetto di una pandemia.

Secondo Alzheimer’s Disease International, la federazione internazionale delle associazioni di Alzheimer di tutto il mondo, nel suo Rapporto Mondiale Alzheimer 2015, la situazione mondiale

del morbo di Alzheimer si può riassumere nelle seguenti cifre:

  • 46.8 milioni di persone con demenza nel 2015
  • 74.7 milioni di persone con demenza nel 2030
  • 131.5 milioni di persone con demenza nel 2050
  • 9.9 milioni di nuovi casi di demenza ogni anno
  • 1 caso di demenza ogni 3 secondi
  • 818 miliardi di dollari l’attuale costo mondiale della demenza
  • 1.000 miliari di dollari il costo mondiale della demenza nel 2018

Questi numeri spaventosi tengono conto soltanto dei malati e non dei cosiddetti caregivers, cioè di tutte quelle persone (familiari, operatori, volontari, ecc…), che prendendosi cura quotidianamente del malato di Alzheimer, subiscono l’enorme stress, la stanchezza fisica e psicologica e la solitudine sociale che spesso li accompagna nella battaglia contro questa terribile patologia.

 

Morbo Alzheimer

Alzheimer In Italia

Un articolo di Repubblica.it del 24 Febbraio 2016 traccia un quadro a dir poco drammatico della situazione in Italia dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie sempre più costrette ad arrangiarsi causa la progressiva diminuzione dell’aiuto pubblico.

Unica nota lieta sono i cosiddetti Alzheimer Cafè.

In Italia ce ne sono circa un centinaio in continuo e costante aumento.

Sono luoghi pubblici dove i malati di Alzheimer e i loro familiari possono usufruire di incontri periodici con personale medico specializzato e svolgere tutte quelle attività di socializzazione utili ad affrontare meglio la malattia.

 

Morbo Alzheimer

Alzheimer e Terzo Settore in Italia

A far fronte alla grave mancanza di supporto delle istituzioni pubbliche interviene fortunatamente sempre di più il terzo settore.

Tra le varie realtà non profit piccole e grandi esistenti sul territorio nazionale che si occupano con coraggio e dedizione di fronteggiare il morbo di Alzheimer ricordiamo la Federazione Alzheimer Italia promotrice oltre che della linea telefonica di sostegno denominata Pronto Alzheimer anche di un’ apposita app per permettere alle nuove generazioni e non di conoscere, capire e affrontare questa terribile malattia.

 

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VIOLENZA CONTRO LE DONNE: UNA PIAGA SOCIALE

IL FENOMENO DELLA VIOLENZA SULLE DONNE

Nella società attuale le forme di violenza contro le donne sono eccessive e troppe.

Nonostante le misure di prevenzione, di protezione e di diffusione mediatica a tutela dei diritti femminili gli episodi di violenza contro le donne sono ancora molti ed in continua crescita. Si parla di: violenza psicologica, fisica, sessuale, atti persecutori, matrimoni forzati, mutilazioni genitali, aborto e sterilizzazione forzati, infanticidio femminile, femminicidi, tutti reati penali.

Molte regioni italiane hanno realizzato campagne di comunicazione ed attività di sensibilizzazione rivolte ad un pubblico ampio, proprio per arginare questo fenomeno. E’ utile che i Ministeri delle Pari Opportunità e dell’Istruzione  avviino delle iniziative educative e formative  in ambito sociale e scolastico volte a responsabilizzare le persone contro la violenza contro le donne e di qualsiasi genere.

DUE ONLUS PER LA TUTELA DEI DIRITTI FEMMINILI

A tal proposito nasce nel 1988 Telefono Rosa per dare una consulenza legale e psicologica alle donne vittime di violenza, grazie ad un team di 92 volontarie tra avvocate e psicologhe.

Telefono Rosa offre: un numero di pubblica utilità 1522 attivo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno e offre la possibilità d’intraprendere un percorso psicologico con l’ obbiettivo di sostenere la propria genitorialità, un tutoraggio nella ricerca di corsi professionali gratuiti per un inserimento lavorativo, un percorso psicoterapeutico per chi ha subito traumi derivanti da esperienze di vita tragiche,  uno sportello antistalking ed un gruppo di auto-aiuto per riacquistare fiducia in sè stesse.

Chiunque volesse dare un aiuto alle donne ed ai loro bambini vittime di violenza può farlo collegandosi al sito internet www.telefonorosa.it/diventa-volontaria.

Invece esattamente dieci anni fa nel 2008, nasceva la prima associazione italiana di centri antiviolenza D.i.re Donne in rete contro la violenza” , con l’obiettivo di coordinare i centri antiviolenza gestiti da associazioni di donne unite dall’esigenza di combattere la violenza maschile sulle donne. L’associazione italiana direcontrolaviolenza ha 80 centri antiviolenza collocati in 18 regioni italiane (ad eccezione del Molise e della Valle d’ Aosta), che aiutano migliaia di donne a riconquistare la libertà, grazie a gruppi di auto-sostegno ed ad un processo di rafforzamento psicologico al fine di riguadagnare sicurezza e controllo sulla propria vita.

D.i.re organizza corsi di formazione per operatrici e volontarie, chiunque voglia offrire il proprio contributo e diventare volontaria può collegarsi al sito www.direcontrolaviolenza.it , per combattere tutte insieme la violenza contro le donne, perché l’unione fa la forza!!

 

Giuseppina Filippelli

PHI Foundation

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI 

 

QUI IN ITALIA, IL NOSTRO GOVERNO FAVORISCE I MOLTI INVECE DEI POCHI: E PER QUESTO VIENE CHIAMATO DEMOCRAZIA  

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI 

 

Le leggi qui in Italia assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi italiani non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo stato, ma non come atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI

 

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace a modo suo. Noi italiani siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi situazione anche di pericolo. Un cittadino italiano non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI

 

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevano offesa. e ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI

 

Un uomo che non si interessa allo Stato noi italiani non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui in Italia siamo in grado di giudicarla. Noi italiani non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi italiani crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, oggi proclamiamo che l’Italia sia la scuola d’Europa e che ogni italiano cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che l’Italia è aperta al mondo e noi italiani non cacciamo mai uno straniero.

 

DEMOCRAZIA: QUI IN ITALIA NOI FACCIAMO COSI

 

TRATTO DAL DISCORSO DI PERICLE AGLI ATENIESI NEL 461 A.C, sostituendo la parola “Atene” con “Italia” – la parola “Ateniesi” con “Italiani” e la parola “Noi” con “Noi Italiani”.

 

PHI FOUNDATION SOCIAL INNOVATION COMMUNITY

 

 

Sebastiano de Falco

PHI Foundation

 

 

 

Fondazione Francesca Rava: il bene fatto BENE

L’ANTEFATTO CHE GUIDA A FARE DEL BENE

A volte da tragici eventi nascono realtà meravigliose, come “ Fondazione Francesca Rava – N.P.H. Italia”, enti no profit importanti che prendono forma e sembrano essere guidate da fili trasparenti, che tracciano linee guida.

Mariavittoria, dopo la morte della sorella Francesca, decide di dedicarsi un po’ agli altri, ma è un buon avvocato e di tempo ne ha proprio poco. Decide così di usare la sua professione per offrire consulenze gratuite alle associazioni di volontariato o a persone bisognose.

Conosce l’organizzazione umanitaria internazionale N.P.H Nuestros Pequeños Hermanos (I nostri piccoli fratelli) che aiuta bambini e i ragazzi in condizione di disagio accogliendoli in Case orfanotrofi in America Latina, dando una speranza per un futuro migliore a chi non ha nulla.

Vorrebbe aprire una sede in Italia ma purtroppo non trova nessuno che voglia dare una mano. Mariavittoria non si arrende e, come invitata da qualcosa di inspiegabile si mette in gioco; coinvolge mamma, zia, amiche; tutti insieme con tanto entusiasmo e un grande cuore, si danno da fare per aprire la sede in Italia.

Così nasce Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia, una grande famiglia internazionale dedita ai bambini e ai ragazzi in difficoltà, non solo offrendo mezzi di sostentamento, ma anche una formazione scolastica che possa permettergli da adulti di trovare un lavoro e farsi una famiglia. La Fondazione è particolarmente impegnata nel Paese quarto mondo di Haiti, dove ogni ora due bambini sotto i 5 anni muoiono per malnutrizione e malattie curabili.

I PROGETTI DI FONDAZIONE FRANCESCA RAVA

I volontari di Fondazione Francesca Rava vogliono fare del bene, ci mettono anima e cuore, non si arrendono davanti agli ostacoli ma vanno oltre… tante volte anche oltre confini e culture diverse, infatti aiutano ragazzi nati in condizioni sfortunate a diventare cittadini liberi e indipendenti in Paesi dove “libertà e indipendenza” sono considerate ancora un lusso.

La Fondazione è impegnata anche in Italia con progetti in aiuto ai bambini come:

  • La realizzazione della scuola Materna di Pieve Torina a Macerata, l’ottava scuola realizzata dalla Fondazione per i bambini del Centro Italia colpiti dal terremoto e per la quale ognuno di noi può donare 10,00€ per un mattone per costruire l’edificio. La scuola dovrebbe essere pronta per ottobre (salvo impedimenti burocratici) e tutti i sostenitori saranno invitati all’inaugurazione.
  • In farmacia con i bambini”, una raccolta di farmaci da banco e prodotti babycare per bambini in povertà sanitaria, che ricorre ogni anno il 20 novembre, Giornata Mondiale dei diritti dell’infanzia, in molte farmacie Italiane aderenti.
  • “ninna ho”, primo progetto nazionale a tutela dell’infanzia abbandonata che informa le madri in difficoltà sulla possibilità di partorire in anonimato e che prevede la presenza di culle salvavita presso un network di ospedali dislocati in tutta Italia.

AIUTATECI A FARE BENE

Si può aiutare Fondazione Francesca Rava in molti modi: donando il 5 per mille C.F. 97264070158, facendo attività di volontariato o sostenendo uno dei loro progetti. Si può scegliere una o più iniziative; visitate il sito www.nph-italia.org, o contattate l’associazione allo 02.54122917 oppure scrivete a info@nph-italia.org.

Una sola cosa è importante FARE BENE IL BENE, questo sì che vi aiuterà a ottenere molta felicità.

 

Laura Giacometti

PHI Foundation

Ali di libellula per affrontare la morte di una persona cara

La morte di una persona cara è senza ombra di dubbio un evento traumatico fortemente impattante sulla vita quotidiana di chi rimane.

Se è alquanto difficile mettersi nei panni di chi affronta la morte di una persona cara, chi viene investito da un grave lutto necessita con tutta probabilità di una qualche forma di aiuto.

Libellule nel cuore, progetto della Fondazione Maurizio Fragiacomo ispirato all’associazione britannica Grief Encounter fondata nel 2003, ne condivide lo scopo di fornire un sostegno professionale, attraverso un’équipe di psicologi, councelor e volontari adeguatamente formati, a coloro che abbiano subito la perdita di una persona cara, in particolare bambini, adolescenti e famiglie.

Libellule nel Cuore 

“Non so dove vanno le persone quando scompaiono, ma so dove restano”

cit: Il Piccolo Principe, Antoine de Saint-Exupéry 

Il nome “Libellule nel cuore” trae ispirazione da una favola anonima che narra della metamorfosi di piccole larve d’acqua in libellule, raccontando metaforicamente il misterioso passaggio dalla vita alla morte.

Il cuore poi, simboleggia naturalmente il luogo privilegiato dove le emozioni e i sentimenti più profondi trovano dimora.

Bambini

La metafora rappresenta la forma di ispirazione originaria, nel caso dei bambini, però, è importante parlare loro in modo chiaro e concreto.

Libellule nel cuore lo fa fornendo diversi strumenti tra cui:

  • Un manuale che guidi il bambino all’espressione, anche visiva, delle proprie emozioni
  • Memorie dalla finestra, una sezione in cui qualsiasi bambino possa pubblicare un pensiero rivolto alla persona che non c’è più
  • Libri consigliati per fasce d’età 

Adolescenti

Per un adolescente il lutto arriva spesso a destabilizzare un equilibrio per sua natura sottile, incarnando da un lato la necessità e difficoltà di chiedere aiuto e dall’altro la paura di non sentirsi né di essere più visti come “normali”.

Questa sezione mette a disposizione strumenti quali:

  • Una Guida per Teenagers, in cui sono riportate frasi di altri adolescenti che condividono l’esperienza del lutto
  • Libri consigliati 

Famiglie

Anche in questo caso vengono forniti suggerimenti perché ogni membro della famiglia possa esprimere il proprio dolore e le proprie emozioni in modo personale, ristabilendo un equilibrio tutto da ricostruire nel ricordo positivo della persona venuta a mancare:

  • Rituali da condividere, come l’accendere una candela prima di andare a dormire
  • Scatole di memoria da costruire e in cui custodire foto, ricette o il profumo della persona amata
  • Libri da leggere insieme o singolarmente per affrontare al meglio il lutto

Non mancano inoltre suggerimenti e materiali didattici per insegnanti e professionisti che si occupano della relazione di aiuto nell’ambito del lutto.

Libellule nel cuore fornisce infine servizi di assistenza telefonica e e-councelling via skype, oltre a proporre attività ludico-espressive, gruppi di sostegno, incontri di counseling individuali, sedute di psicoterapia individuali/familiari ed eventi organizzati a Milano e provincia.

In calendario “Bowling your Emotions”, attività ludico-espressiva condotta dal “Joy trainer” Angelo Cattaneo, in programma al Bowling up di Milano il prossimo 14 aprile.

   

Al modello basato sull’accettazione realisticamente difficile della morte di una persona cara, Libellule nel cuore fa subentrare piuttosto una logica di adattamento: soltanto imparando ad esprimere e a convivere con il dolore sarà possibile tornare a sorridere.

 

Floriana Avellino

PHI Foundation

#Abilioltre…inViaggio: la mostra itinerante nelle stazioni italiane

È stata inaugurata il 20 febbraio, per la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, #Abilioltre…inViaggio.

#Abilioltre…inViaggio è la mostra itinerante promossa dal gruppo Ferrovie dello Stato e dall’Associazione no profit Abili Oltre.

#Abilioltre…inViaggio: dodici opere esposte alla stazione di Milano 

L’esposizione comprende dodici installazioni grafiche realizzate da ragazzi con disabilità che raffigurano dodici personaggi famosi diversamente abili che si sono distinti in vari campi, dalle arti, allo sport fino alla musica.

Fino al 22 febbraio le opere sono state esposte nella Sala Reale della Stazione di Milano Centrale in prossimità del binario 21, ciò vuole sottolineare quanto sia importante portare all’attenzione delle persone certe problematiche. Difatti la stazione è sempre stata simbolo di frenesie, di viaggi, di corse per non perdere il proprio treno, ma anche di attese e di ritardi. Fare quindi un’esposizione all’interno di una stazione ferroviaria grandissima, come quella di Milano, porta il viaggiatore a fermarsi, a mettere in pausa i suoi ritmi velocissimi e a prendersi del tempo per ammirare quei pannelli colorati e allegri, che parlano di storie di chi vive la vita in maniera totalmente diversa dalla propria, storie di chi nonostante tutto ce l’ha fatta ed è andato oltre i limiti e i pregiudizi umani.

L’Associazione no profit Abili Oltre e l’impegno per le persone disabili

L’Associazione Abili Oltre ha questo grande merito: si impegna a favorire lo sviluppo della capacità produttive degli individui affetti da disabilità, creando laboratori ad hoc per loro e garantendo la cosa più importante per ogni essere umano: la dignità.

È una condizione necessaria per ogni uomo, infatti, trovare la propria realizzazione nel lavoro e nella società. E per raggiungere questo scopo è chiaro che istituzioni e cittadini debbano lavorare in sinergia per consentire il progresso della comunità e delle condizioni di vita delle persone disabili, affinché le capacità di abili e non abili si integrino e armonizzino per il bene comune.

“Manifestazioni come quella organizzata dall’associazione Abili Oltre sono utili per rinnovare la massima attenzione nei confronti dei clienti con disabilità motorie, sensoriali, intellettive: per noi persone a ridotta mobilità che devono vedere affermato il pieno diritto alla mobilità, in treno come su ogni altro mezzo pubblico”, spiegano i responsabili delle Ferrovie dello Stato.

Le prossime date di #Abilioltre…inViaggio 

Intanto la mostra #Abilioltre…inViaggio prosegue il suo tour in altre stazioni:

  • dal 26 al 28 febbraio è stata a Torino Porta Susa;
  • dal 20 al 22 marzo a Roma Ostiense in occasione della Giornata mondiale del servizio sociale;
  • dal 10 al 12 aprile a Reggio Calabria Centrale;
  • e infine dall’8 al 10 maggio a Napoli Mergellina.

 

 

Daniela Leone

PHI Foundation

QUANDO C’È CUORE E DETERMINAZIONE IL VOLONTARIATO ESPLODE

Dopo lo spaventoso tsunami che nel 2004 devastò il sud est asiatico, il signor Antonio Santoro, neo pensionato e con il desiderio di fare del volontariato, decide di partire per andare ad aiutare quelle popolazioni.

L’intenzione era quella di raggiungere l’Isola di Sumatra ma l’accesso risulta impossibile e con altre persone conosciute in viaggio, rimane bloccato in India, nella regione del Tamil Nadu. Ma anche qui c’è molto da fare. La tempra di Antonio e la sua determinazione a fare del volontariato lo porta a radunare altri volontari e a raccogliere insieme a loro tutto il denaro possibile per acquistare beni alimentari.

Con l’aiuto delle autorità locali, noleggiano due camion, li riempiono di viveri e iniziano a percorrere la costa del Tamil Nadu, distribuendo cibo nei villaggi. Durante il loro viaggio comprendono la realtà e la cultura indiana e fanno amicizia con i responsabili e i volontari dell’associazione Indian Christian Mission.

Tornati in Italia, decidono di fondare “Progetto Familia Onlus”, con lo scopo di fare del volontariato in favore dei bambini dell’India che sono rimasti orfani. Si mettono in contatto con l’associazione Indian Christian Mission e iniziano a raccogliere i fondi per sostenere il loro operato in quel paese. Nasce così una splendida collaborazione, che attraverso il progetto delle adozioni a distanza, offre a molti bambini indiani la possibilità di nutrirsi, vestirsi e andare a scuola.

Dopo molti anni di attività, Progetto Familia viene a sapere che 2 orfanotrofi della regione del Tamil Nadu, si trovano in grosse difficoltà. I volontari di Progetto Familia non possono chiudere gli occhi e si dedicano anima e corpo per aiutarli a restare attivi.

I bambini, grazie ai volontari di Progetto Familia possono crescere e andare a scuola, ma non una scuola improvvisata all’interno degli istituti, NO! Niente collegio, ma la possibilità di frequentare una Scuola Statale.

Per mezza giornata questi bimbi possono uscire dall’orfanotrofio ed integrarsi con i bambini dei villaggi vicini. Un po’ di aria, un po’ di normalità e soprattutto un po’ di scolarizzazione che permetterà loro di essere indipendenti da grandi.

In quelle zone l’assistenza sanitaria è praticamente nulla, così Antonio e i suoi volontari si danno da fare per aprire un ambulatorio medico gratuito, aperto a tutti, che offra la presenza giornaliera di un medico, 2 infermiere e i medicinali necessari alle cure.

L’ambulatorio oggi è diventato un importante punto di riferimento per tutti i villaggi della zona. Tra gli utenti ci sono molte donne, che chiedono aiuto durante la gravidanza o il parto.

Progetto Familia si occupa anche della tragica condizione delle donne, considerate esseri inferiori, spesso vendute per pagare un debito o cedute come spose bambine a ricchi possidenti.

Per dare loro una dignità e aiutarle ad essere autonome, l’associazione ha creato un laboratorio di taglio e cucito, dove offre alle donne del posto una formazione professionale gratuita. L’obiettivo non è solo aiutarle a guadagnarsi da vivere ma anche ad avere rispetto di sé e pretenderlo dagli altri.

Sicuramente il Sig. Antonio, quando ha seguito il suo desiderio di fare del volontariato ed è partito per l’Asia, non avrebbe mai immaginato di riuscire a fare così tanto. Oggi Progetto Familia sostiene progetti in India, Etiopia e Uganda.

Se volete aiutare questa Associazione, sostenerla o saperne di più sulle sue attività di volontariato, potete scrivere a a.santoro@progettofamilia.org oppure telefonare al numero 02.40074976.

 

Laura Giacometti

PHI Foundation

OXFAM: Eliminare la povertà e le disparità sociali

Povertà , disuguaglianze, disparità sociale, condizioni di vita precarie al limite della sussistenza, queste sono le problematiche che portano alla nascita di OXFAM.

Partita nel lontano 1942 da alcuni studenti di Oxford, per portare cibo alle donne e ai bambini greci stremati dalla guerra, si è diffusa in breve tempo in tutto il mondo e oggi è una vera e propria confederazione internazionale di organizzazioni no profit che lavorano insieme in più di 90 paesi.

In particolare in Italia, OXFAM, nasce dall’esperienza Ucodep, organizzazione non governativa che per  oltre 30 anni si è occupata di migliorare le condizioni di vita delle persone povere, dando loro gli strumenti per costruirsi un futuro.

Questa associazione di volontariato si impegna nell’educazione interculturale, attivando Campagne di opinione e sensibilizzazione, promuove il commercio equo solidale e dall’inizio del 2000 collabora a livello globale nelle situazioni di emergenza.

Con i propri volontari, interviene nelle emergenze umanitarie causate da catastrofi naturali, come terremoti e tsunami, o dalle guerre senza senso dell’uomo, portando acqua, servizi igienico-sanitari e rifugi alle popolazioni, aiutando a ripristinare i servizi idrici e fognari e sostenendo la ricostruzione fino al ritorno alla normalità.

Un altro grosso obiettivo di OXFAM è quello favorire la diffusione dell’istruzione per tutti, soprattutto per le donne che subiscono condizioni di disparità in gran parte del globo e sono tra le principali vittime della violenza e della fame.

La missione di OXFAM è quella di combattere le disparità, aiutando le persone a riappropriarsi del proprio destino e offrendo  loro gli strumenti necessari per realizzare un futuro migliore.

In questo periodo in Italia, OXFAM sta organizzando il Progetto PACCHI DI NATALE, un’iniziativa atta a raccogliere fondi per l’emergenza acqua, malnutrizione e carestia nei Paesi del Centro e del Sud dell’Africa.

In vari centri commerciali e in alcuni negozi, in giro per tutto il Paese, a partire dall’8 dicembre potrete trovare dei banchetti che offrono il servizio di farvi un bel pacco regalo per tutti i doni da voi acquistati. Con un piccolo contributo, usufruendo di  questo simpatico e utile servizio, potrete anche voi aiutare a ridurre la disuguaglianza e le ingiustizie che dilagano nel mondo.

OXFAM ed i suoi volontari non si fermeranno mai fino a quando la povertà e le ingiustizie sociali non verranno eliminate, permettendo ad ogni individuo una vita degna di essere vissuta.

 

Laura Giacometti

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20 MILIONI DI MUSULMANI CONTRO L’ISIS

20 MILIONI DI MUSULMANI SCENDONO IN PIAZZA PER CONTESTARE CONTRO L’ISIS

 

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Il tradizionale pellegrinaggio sciita a Karbala, nel sud dell’Iraq, è diventato una manifestazione di protesta contro l’Isis, che il giorno prima aveva seminato una strage in una cittadina nei pressi di Karbala.

 

La marcia è diventata forse la più grande della storia: si calcola che abbiano partecipato dai 17 ai 20 milioni di musulmani (secondo il quotidiano britannico The Independent).

 

Ora, 20 milioni di musulmani tutti insieme contro l’Isis è una notizia?

 

Eppure, sui giornali Europei non l’abbiamo vista, perché contraddice l’assunto ideologico “musulmani uguale terroristi”.

L’articolo e il video dal britannico The Independent.

 

http://www.independent.co.uk/news/world/middle-east/20-million-muslims-march-against-isis-arbaeen-pilgrimage-iraq-karbala-a7436561.html

 

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Sebastiano de Falco

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A&I Onlus : Aperitivo in carcere

Prendere un aperitivo può essere un’esperienza particolarmente interessante e coinvolgente. Eh sì, perché a Milano è possibile farlo all’interno del carcere di S. Vittore.

Esiste un’associazione, l’A&I Onlus Cooperativa Sociale per la formazione e per il lavoro che, attraverso i suoi soci, i volontari e i donatori, si impegna a costruire le migliori condizioni per l’integrazione sociale e lavorativa di soggetti che godono di minori opportunità.

Uno dei progetti della A&I Onlus si chiama Libera Scuola di Cucina e coinvolge donne e giovani uomini  (18 -25 anni) detenuti, in un percorso formativo per sviluppare competenze professionali, spendibili nel settore della ristorazione. La particolarità di questa iniziativa è l’organizzazione di eventi didattici (aperitivi, cene, buffet, feste a tema) che coinvolgono la comunità esterna al carcere.

Vengo a conoscenza del progetto, la curiosità è tanta e l’iscrizione pressoché immediata. Mi iscrivo con un’amica e dopo aver compilato i documenti necessari siamo “ammesse”.

Qualche giorno dopo ci troviamo davanti al carcere San Vittore  e, terminati i controlli di routine, ci vengono aperte le porte di un corridoio, dal quale si può accedere sia all’area dove sono detenute le donne sia a quella dei giovani uomini. Siamo circa 60 partecipanti.

Durante il tragitto che ci porterà a scoprire com’è strutturato il carcere, una responsabile A&I del progetto Libera Scuola di Cucina ci racconta delle condizioni disumane dei carcerati prima del 2013, anno in cui l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea. Da allora, per i detenuti si è aperta la possibilità di avere più spazi di movimento e di seguire proposte formative, corsi e scuole. Servizi quasi totalmente erogati da Associazioni di Volontariato, Onlus, Organizzazioni no profit o singoli individui che si dedicano al volontariato.

Raggiungiamo una zona super blindata, dalla quale partono i “raggi”, dove sono rinchiusi gli uomini con più di 25 anni da scontare. Ogni raggio corrisponde ad una pena detentiva e raggruppa persone che hanno commesso reati simili o di simile grado.

I detenuti più giovani sono tenuti lontani da quelli più grandi, per evitare che vengano influenzati negativamente, nel tentativo così, di avere maggiori possibilità di reinserimento nella società. Soprattutto per loro e per le donne, il carcere di San Vittore offre corsi tipo questo, legato alla cucina o di fotografia, di pittura o di giardinaggio, ecc.

Ai giovani viene offerta la possibilità di finire gli studi e c’è chi sta facendo l’università. Tutto questo sempre grazie ad organizzazioni di volontariato, Onlus e cooperative.

Oltre alla responsabile della A&I Onlus, siamo accompagnati nel percorso da due detenuti che ci illustrano le condizioni e la vita del carcere. Al termine ci riportano nel primo corridoio per offrirci l’aperitivo che hanno preparato per noi.

Durante l’aperitivo, parlo con alcune detenute. Per loro siamo una bella “boccata” d’aria. A noi offrono una bellissima ospitalità, un gustoso aperi-cena e soprattutto ci fanno partecipi di un pezzettino della loro vita.

Ammiro e ringrazio la A&I Onlus per i progetti che porta in carcere, volti ad aiutare i detenuti in modo che, a pena conclusa, possano reintegrarsi nella società. Ma anche a sensibilizzare l’esterno su una realtà spesso ignorata.

Per partecipare e sostenere la A&I, potete andare sul loro sito e fare una donazione, qui potete trovare il progetto della Libera Scuola di Cucina, in questa pagina potrete cliccare sul link http://www.aei.coop/xpr-evento/. dove è possibile vedere il calendario dei prossimi eventi ed iscrivervi.

 

Laura Giacometti

PHI Foundation

I Giovani in Afghanistan

In Afghanistan, viene praticata un attività di pedofilia,  istituzionalizzata in tutta la regione, denominata Bacha Bazi.

I Bacha Bazi letteralmente significa: giocare, stare assieme, avere interesse, oppure giovani danzanti, intrattenitori.

I giovani adolescenti in Afghanistan e quelli in età prepuberale, vengono venduti a uomini ricchi, sono costretti ad indossare abiti femminili, a ballare e cantare nelle feste per intrattenerli.

Vengono rapiti, trovati per strada, negli orfanotrofi o venduti dalle loro stesse famiglie che vivono in uno stato di indigenza estrema, e sono impossibilitati a poter dare il meglio ai loro figli, accettando soluzioni estreme come trattare i figli come merce, consegnandoli ai loro “padroni” che spesso finiscono per abusare di loro sessualmente.

I Giovani in Afghanistan,  diventano così  un vero e proprio business, alcuni dei giovani di sesso maschile testimoniano d’esser stati costretti ad aver continuativi e frequenti rapporti sessuali con i loro padroni e, nel caso  si rifiutavano, venivano violentati con la forza.

Tutt’oggi le autorità governative stanno tentando di impartire un tentativo di repressione della pratica, ma rimangono ancora molte incertezze che vi sia un rimedio,  in quanto, una buona parte degli uomini coinvolti, sono potenti ex-comandanti militari.

Secondo Andrea Iacomini, portavoce dell’Unicef in Italia, nel 2015 scriveva: “I ‘proprietari’, chiamiamoli così, dei Bacha Bazi approfittano della condizione di povertà in cui vivono questi bambini e le loro famiglie, sapendo che i genitori non posso rifiutarsi o denunciarli, perché sono troppo potenti e influenti e nessuno avrebbe il coraggio di opporsi”.

2 Tra culture sbagliate  e storia:

I “Bacha Bazi” , oggi, si sono diffusi nelle zone più settentrionali dell’Afghanistan, mentre nelle grandi città si è divulgata già a partire dalla fine della prima guerra mondiale.

Lo storico della danza, Anthony Shay descrive la pratica come “severamente disapprovata dalle potenze coloniali, prima inglesi e francesi e poi russe, e da quelle èlite che avevano assorbito i valori occidentali“.

I rapporti con effeminati, emerge nella  storia tra i governanti e i poeti del medioevo arabo.

L’Impero ottomano  fino al XIX secolo aveva i Köçek, ragazzi vestiti da donna che intrattenevano gli uomini con danze e canti d’amore  accompagnati dal suono di cembali e tamburi.

La cultura in Afghanistan è basata sull’idea che entrare  in contatto con le donne può risultare impuro, invece  l’amore verso i ragazzi  è considerato puro e non come una violazione della Sharia: “l’amore per i ragazzi è presente in fonti giuridiche vincolanti, quindi senza alcuna possibilità d’incorrere in una qualche punizione”.

Questi Giovani Afgani sono un istituto riconosciuto in tutto il territorio dell’Asia Centrale, mentre nel Khanato di Kokand , per fortuna  questi balli pubblici, già da alcuni anni, sono stati proibiti.

Uno studio del 2011 si è svolto in Pakistan  ed ha coinvolto quattro ragazzi, e sono emerse somiglianze e differenze  tra l’attuale pratica pakistana e quella rivisitata in Uzbekistan nel 1970 da Ingeborg Baldauf.

Attualmente i Giovani in Afghanistan hanno un’età che va dagli 8 ai 14 anni; dunque siamo di fronte a reati come: la pederastia e la pedofilia, che bisognerebbe punire, in quanto istituzione sbagliata.

Prevalentemente le canzoni trattano di un amore non corrisposto oppure  avventure erotiche e vi possono anche essere delle gare di canto e ballo tra i Batchis.

Le donne sono considerate esclusivamente come mogli e madri, mentre i Giovani in Afghanistan, purtroppo, sono  usati solo per il piacere: dopo l’adolescenza, questi, molto spesso si sposano con una donna più grande di loro.

Ciò appena decritto, vuole essere  un invito a riflettere su come, alcune culture sbagliate, presenti in altri paesi differenti dal nostro, siano completamente lontane dal nostro “modus vivendi” e a mio parere, si dovrebbe fare molto di più per evitare che i Giovani in Afghanistan, non perdano la dignità  e che ritrovino i veri valori attraverso  lo studio ed altri progetti umanitari, in grado di fornire un supporto socio-economico e formare i giovani  permettendo loro una grande riscossa contro questa cultura che va avanti nella storia e non  rispecchia  la miglior vita dei Giovani in Afghanistan.

 

N&D Nadine Fashion Stylist

PHI Foundation

A PENSAR MALE SI FA PECCATO

Riflettendo a voce alta sul “pensar male si fa peccato” e al fine di comprendere meglio quello che accade intorno a noi, mi pongo una domanda, alla luce dei fatti tutto quello che ci raccontano, è la verità?

 

Dicono che i migranti affrontano un lungo cammino di migliaia di chilometri impervi e pieni di pericoli rischiando ogni istante la propria vita, per mancanza di cure mediche adeguate, acqua e cibo, banditi durante il percorso.

 

Questo immane Esodo, Olocausto Planetario, ogni santo giorno, è affrontato da anziani, donne in stato interessante, bambini di qualsiasi età (anche molto piccoli e abbandonati a se stessi), un flusso migratorio che ogni giorno si incrementa.

 

Dopo tutti i sacrifici del temerario viaggio, per i fortunati sopravvissuti si presenta un’altra grande prova, mettere la propria vita nelle mani dei trafficanti oltretutto donandogli tutto quello che hanno risparmiato con tanti sacrifici (dicono intorno ai 3.000/5.000 euro a persona) per essere imbarcati (dopo violenze e maltrattamenti) in un natante che potrebbe portare alla morte.

 

Dobbiamo presumiamo che ogni singolo individuo abbia una grande volontà e il coraggio di affrontare sofferenza e morte, abbia il denaro per far fronte al viaggio e pagare i trafficanti, tenendo in considerazione un reddito procapite intorno ai 100 euro mensili con i quali devono vivere quotidianamente e risparmiare per l’Esodo.

 

Ammesso che dopo anni e anni di sacrifici e privazioni, i migranti siano riusciti a risparmiare il denaro per affrontare l’Esodo, siano sopravvissuti al viaggio e ai trafficanti (vivendo nella speranza che siano salvati dalla marina che pattuglia i mari o da una non profit come le ONG).

 

Giungano a destinazione nella terra promessa, dove dopo l’identificazione sono ammassati nei villaggi oggi denominati HotSpot e comunque arrivano con telefoni cellulari e numeri telefonici cui rivolgersi, conoscendo i propri diritti e i doveri che hanno le nazioni europee ospitanti.

 

Mi domando, giacché i migranti hanno i denari perché non acquistano semplicemente un biglietto aereo e prenotano un albergo arrivando nella terra promessa come turisti e poi chiedere asilo anche presso una non profit?

 

Perché tutta questa sofferenza, caos e morte, quando le ONG potrebbero impegnarsi nel sostenere e gestire il flusso migratorio facendo acquistare (con i soldi dei migranti) il biglietto aereo e la prenotazione alberghiera con eventuale visto per la destinazione prescelta?

 

Io non capisco, i migranti fanno tanti sacrifici per risparmiare denaro al fine di affrontare con coraggio e determinazione un viaggio verso la morte, parlano inglese, hanno i cellulari con numeri cui rivolgersi, conoscono i loro diritti internazionali, abbiano l’ardimento di affidare la propria vita nelle mani dei trafficanti sperando che una ONG sia ad aspettarli nella terra promessa.

 

Come disse un giorno Giulio Andreotti “A pensar male si fa peccato, però ci si azzecca”.

 

PHI Foundation Social Innovation Community

È il nuovo modo di concepire l’engagement sociale al servizio della collettività

 

La Social Innovation (Innovazione Sociale) è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali della comunità mediante la responsabilizzazione degli individui e la volontà di cambiare le relazioni sociali.

 

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Alessandro Roma

PHI Foundation

NOI BAMBINI DI IERI COME ABBIAMO FATTO A SOPRAVVIVERE?

Come abbiamo fatto a sopravvivere noi bambini degli anni 50 – 60 – 70 – 80

 

1.- Da bambini andavamo in auto che non avevano cinture di sicurezza né airbag.

2.- Viaggiare nella parte posteriore di un furgone aperto era una passeggiata speciale….

3.- Le nostre culle erano dipinte con colori vivacissimi, con vernici a base di piombo.

4.- Non avevamo chiusure di sicurezza per i bambini nelle confezioni dei medicinali, nei bagni, alle porte, alle prese.

5.- Quando andavamo in bicicletta non portavamo il casco.

6.- Bevevamo l’acqua dal tubo del giardino invece che dalla bottiglia dell’acqua minerale….

7.- Uscivamo a giocare con l’unico obbligo di rientrare prima del tramonto. Non avevamo cellulari …. cosicché nessuno poteva rintracciarci. Impensabile.

8.- La scuola durava fino alla mezza, poi andavamo a casa per il pranzo con tutta la famiglia (Si, anche con il Papà).

9.- Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno se non di noi stessi.

10.- Mangiavamo biscotti, pane olio e sale, pane e burro, bevevamo bibite zuccherate e non avevamo mai problemi di sovrappeso, senza palestra, ma sempre in giro a giocare ….

11.- Condividevamo una bibita in quattro …. Bevendo dalla stessa bottiglia e nessuno moriva per questo.

12.- Non avevamo playstation, videogiochi, televisione via cavo con miriadi di canali, videoregistratori, dolby surround, cellulari, computer, internet, chatroom …… Avevamo solo tanti AMICI reali.

13.- Uscivamo, montavamo in bicicletta o camminavamo fino a casa dell’amico, suonavamo il campanello semplicemente per vedere se lui era lì e poteva uscire.

14.- Si! Lì fuori! Nel mondo crudele! Senza un guardiano! Come abbiamo fatto? Facevamo giochi con bastoni e palline da tennis, si formavano delle squadre per giocare una partita; non tutti venivano scelti per giocare e gli scartati dopo non subivano un trauma.

15.- Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né d’iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno scolastico, perché gli insegnanti avevano ragione.

16.- Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità … e imparavamo a gestirli.

La grande domanda allora è questa:

Come abbiamo fatto a sopravvivere? A crescere e diventare adulti?

Oggi è il giorno delle persone più belle che esistano, e tu sei una di loro. Siamo connessi o no, condividiamo augurando

BUONA VITA A TUTTI.

 

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Sebastiano de Falco

PHI Foundation 

8 Marzo

Con l’ 8 Marzo, Giornata Internazionale della donna, è nata una nuova era per la libertà di tutte donne

Quest’anno l’ 8 Marzo, non abbiamo festeggiato la “Giornata Internazionale della donna” con le classiche mimose ma con lo Sciopero Globale delle Donne che ha raccolto l’adesione di 54 Paesi nel mondo. Attraverso feste in strada, assemblee, cortei, manifestazioni creative abbiamo messo sottosopra attività produttive, scuole, piazze e vite familiari al grido di “Se le nostre vite non valgono, non produciamo” per rivendicare una società che valorizzi la vita, la salute, la libertà e l’autodeterminazione di tutte le donne.

L’ 8 Marzo milioni di donne hanno incrociato le braccia interrompendo ogni attività produttiva e riproduttiva e astenendosi da ogni tipo di occupazione, compresi i lavori di cura e quelli domestici.

Con le colleghe dell’Associazione per cui lavoro, Differenza Donna Ong di Roma, abbiamo occupato lo spazio pubblico con i nostri saperi portando in strada tutta l’esperienza dei Centri Antiviolenza. Abbiamo trascorso la mattina in Piazza del Popolo con varie attività di sensibilizzazione, per incontrare e parlare con le donne e uomini, per informarli e coinvolgerli nella nostra mission e nella nostra adesione allo sciopero. Alle 17,00 ci siamo unite al corteo che è partito dal Colosseo insieme a tutte le altre donne e associazioni.

Per tutta la manifestazione io ho portato con orgoglio un cartello con su scritto “The Woman’s place is in the Resistance”. E voglio ricordarmi tutti i giorni di resistere di fronte alle ingiustizie che vivo in questa società in quanto donna perché se anche c’è una ingiustizia c’è sempre uno spazio per contrastarla.

È inutile dire quanto sia stato emozionante sentire un’unica voce che si muoveva come un grande popolo per le strade di Roma, d’Italia e non solo. Il colore dominante non era il giallo delle mimose, bensì il nero e il fucsia, scelto dalla rete Non Una di Meno. Nero e fucsia ovunque. Sugli striscioni portati in corteo, sui capelli, sugli abiti, sulle stampe delle emblematiche matrioske.

La matrioska (dal latino mater) rappresenta allo stesso tempo maternità e nascita, simbolo  della protesta in quanto rappresenta l’unità e la molteplicità dell’Io di una donna, l’unione e la forza che milioni di donne nel mondo possono avere per far valere insieme i propri diritti come se fossero una sola, unica ed infinita matrioska contenente dentro sé tutte le altre.

Per questo l’ 8 Marzo non è finito. O almeno non è finito qui. Ha aperto una nuova era, un nuovo movimento delle donne. Anche se vivono in diversi luoghi e provengono da differenti vissuti, sono accomunate dalla stesso desiderio di libertà da chi le uccide per “troppo amore”, da chi, quando sono vittime di stupro, processa prima le donne e i loro comportamenti; da chi “esporta democrazia” in loro nome e poi alza muri di fronte alla loro autodeterminazione; da chi scrive leggi sui loro corpi e da chi le ricatta con le dimissioni in bianco perché hanno figli o forse li avranno; da chi offre loro stipendi comunque più bassi degli uomini a parità di mansioni.

Con lo scorso 8 Marzo abbiamo sperimentato che è possibile scioperare dai ruoli imposti dal genere per mettere in crisi finalmente un modello produttivo e sociale che, contemporaneamente, discrimina e mette a profitto le differenze.

 

PHI Foundation è un’associazione che si occupa di sostenere ed aiutare tutti gli operatori che si muovono nell’ambito del Terzo Settore, attraverso l’informazione e la promozione di raccolte fondi.

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Vanessa Doddi

PHI Foundation

Migranti e Arte Migrante: quando umanità e arte si incontrano non si lasciano più

Nazionalismo, patriottismo, rifiuto del diverso, fobia verso i migranti: questo è il comune sentire della retorica populista che sta caratterizzando il nostro continente così come quello americano.

Il bando del neo-presidente eletto Donald Trump ai rifugiati e agli immigrati musulmani ha fatto molto discutere e ha causato la protesta non solo dal basso, da parte della popolazione, ma anche dal mondo delle imprese dal marchio prestigioso come Coca Cola ad Airbnb.

Chi sono questi migranti o stranieri o immigrati o profughi o clandestini?

Innanzitutto, prima di qualunque definizione, questi migranti sono persone. Persone che lasciano la propria terra non perché non la amino più ma perché costretti a scappare da guerre, disastri naturali o persecuzioni politiche.

Queste persone, che sbarcano su terra europea dopo aver affrontato un rischiosissimo viaggio tra il deserto e il mare, non sono in maggioranza musulmani che vengono per sconfiggere la civiltà cristiana. Per oltre il 60% sono cristiani provenienti dall’Africa centrale e sub-sahariana, colo­nizzate per secoli da noi europei.

Quando i migranti arrivano, invece di ricevere supporto e protezione internazionale, finiscono a lavorare come schiavi nelle piantagioni di pomodori dell’Italia del Sud o come prostitute in tutta Europa o, peggio ancora, come carne da macello a cui vengono espiantati gli organi. Quindi, più che di terroristi conquistatori dovremmo parlare di nuovi schiavi. Coloro che gestiscono questo traffico invece sono criminali provenienti da organizzazioni  di stampo mafioso.

Per fortuna c’è chi invece decide di fare qualcosa di piu utile e costruttivo per questa gente. A San Salvario, quartiere multietnico di Torino, il progetto Arte Migrante, nato per contrastare il razzismo e abbattere le frontiere che sempre più alziamo intorno alle nostre vite, ha promosso intercultura e inclusione sociale realizzando una movida che coinvolge due venerdì al mese  circa 150 persone.

Studenti, lavoratori, persone senza fissa dimora e migranti da diverse parti del mondo si incontrano e condividono liberamente performance culturali, artistiche, musicali e fotografiche.

Il progetto, nato a Latina su iniziativa di Tommaso Carturan, giovane studente di antropologia, è arrivato a Torino nel 2014, veicolato dall’associazione Livia. Ha coinvolto anche il presidio Caritas di Saluzzo, cittadina a 50 Km da Torino, dove ogni primavera-estate centinaia di migranti africani arrivano per la raccolta stagionale della frutta.

Arte Migrante è senz’altro una iniziativa di successo da replicare in altre comunità territoriali. Ha dimostrato che se l’accoglienza si fonda sul dialogo può divenire preziosa ricchezza non solo per chi è accolto ma anche per chi accoglie. E soprattutto che non c’è più solitudine né paura laddove c’è spazio per tutti.

 

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Vanessa Doddi

PHI Foundation

Mutilazioni genitali femminili: l’amore negato a 125 milioni di donne nel mondo

Si stima che siano circa 125 milioni nel mondo le donne che subiscono Mutilazioni Genitali Femminili.

E questo mortifica profondamente perché non c’è niente di più affascinante della sessualità femminile, così intima, accogliente e misteriosa allo stesso tempo. Ma soprattutto unica, perché in grado di restituire al mondo l’amore che riceve sotto forma di altra creatura vivente.

Le attiviste che all’interno delle loro comunità si schierano contro le Mutilazioni Genitali Femminili sono sempre state considerare sovvertitrici di tradizioni e culture. Ma chi difende questa pratica barbarica, radicata da secoli, lo fa con delle argomentazioni prive di basi scientifiche.

Ecco alcuni esempi:

1)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una prescrizione religiosa e in particolare dell’Islam.

Non è vero: nessuna religione prescrive la circoncisione femminile la cui origine è pre-islamica, probabilmente già in uso nell’antico Egitto, da dove sarebbe poi approdata a Roma come misura per controllare la sessualità delle schiave.

2)      La circoncisione non crea problemi di salute, anzi ha poteri curativi per esempio contro  depressione e malinconia.

Anche questo è falso. Mettendo da parte i danni psicologici, esiste un’abbondante documentazione circa le varie infezioni pelviche causate dalle Mutilazioni Genitali Femminili come cistiti, vaginiti e altre patologie. Il parto poi può risultare complicato e persino portare alla morte del neonato e/o della madre.

3)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una garanzia di verginità.

Affermazione anche questa del tutto arbitraria. Da un punto di vista prettamente anatomico, la verginità è garantita dalla presenza dell’imene. Anzi, a volte può succedere che, date le precarie condizioni con cui vengono effettuate queste operazioni, la membrana dell’imene venga danneggiata.

Potremmo continuare all’infinito. Resta il fatto che la più grande difficoltà incontrata dalle attiviste contro le Mutilazioni Genitali Femminili è di natura culturale. Parlare di certi organi del corpo e delle loro funzioni in molte società è ancora tabù, per questo tutto ciò che può derivare da questi deve essere ignorato ed eventuali sofferenze devono essere considerate come “parte dell’essere donna”.

Un giorno però la voce delle attiviste africane viene ascoltata da Emma Bonino, esponente del partito radicale, che comincia un lavoro di advocacy internazionale attraverso l’organizzazione da lei stessa fondata Non c’è Pace senza Giustizia. Così, nel dicembre 2000, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione che per la prima volta condanna le Mutilazioni Genitali Femminili come violazione dei diritti umani.

Il 30 e il 31 Gennaio scorso a Roma Non c’è Pace senza Giustizia ha organizzato la Conferenza BanFGM sulla eliminazione della pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili nei Paesi dell’Africa francofona, organizzata in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

La conferenza ha valutato i progressi compiuti a livello nazionale e internazionale sul tema, ribadendo che l’impegno deve essere rafforzato da un’azione condivisa a più livelli – locale, nazionale e internazionale – con il maggiore coinvolgimento della società civile.

Oggi il muro del silenzio è caduto. Le Mutilazioni Genitali Femminili  non sono più un tabù e le attiviste che si battono per far applicare le leggi che le vietano non sono messe all’indice né soggette ad atti di ritorsione. Ci auguriamo che questa battaglia continui il suo difficile percorso non solo per tutelare quei diritti umani considerati inviolabili ma anche e soprattutto per restituire a milioni di donne e bambine  l’amore rubato.

 

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Vanessa Doddi

PHI Foundation

UN BELLISSIMO FILM AL CINEMA

UN BELLISSIMO FILM AL CINEMA

UN BELLISSIMO FILM AL CINEMA

UN BELLISSIMO FILM AL CINEMA:

Mercoledì scorso, ho voluto anch’io beneficiare della grande opportunità offerta in questo periodo, e cioè, andare al cinema a vedere un ottimo film al costo di soli due euro.

Tutto ben organizzato, cena romantica con la mia incantevole dolce metà in ristorantino tipico, dopodiché ci siamo avviati al cinema, dove alla cassa abbiamo ritirato i biglietti prenotati con posti in ottima posizione, tutto procedeva come pianificato.

Il desiderio di trascorrere una tranquilla serata, ambita da molto tempo, sembrava esaudirsi, tutto era andato perfettamente come aspiravamo, se non fosse stato per quel piccolo inconveniente e cioè: una volta entrati nella sala cinematografica e seduti ai posti assegnati abbiamo costatato che nella fila di poltrone antecedente alla nostra sedevano tre giovani ragazzi di circa dieci anni non accompagnati, i quali infastidivano la platea circostante con schiamazzi abbastanza fastidiosi e impropri.

I ragazzi sono stati più volti gentilmente invitati ad evitare atteggiamenti inopportuni ma essi continuavano liberamente con i loro chiassi ignorando qualsiasi rispetto verso gli altri e niente è valso informare la direzione del cinema di quanto stava accadendo, e alla richiesta di silenzio con un tono di voce più alto, i giovani ragazzi hanno infierito dicendo: altrimenti cosa fate?

Nel guardare i volti turbati (forse disperati) delle persone intorno, in quel preciso momento, mi è apparso in mente l’ottavo libro de “La Repubblica” di Platone, e desidero farvi partecipi trascrivendo questi brevi versi poiché vi trovo molte analogie con i tempi che stiamo vivendo e più che un testo di 2.500 anni fa sembra scritto ieri.

 

Quando un popolo, divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistano alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, son dichiarati tiranni.

E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo;

che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.

In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo e rispetto per nessuno.

IN MEZZO A TANTA LICENZA NASCE E SI SVILUPPA UNA MALA PIANTA:

LA TIRANNIA.

 

Forse è arrivato il tempo di cessare di perseverare una strada che conduce solo, esclusivamente, a ripetere i medesimi errori di sempre cercando l’evoluzione orientata alla Social Innovation, un cambiamento reale in un mondo migliore più solidale, più equo, più sostenibile, volgendosi verso il rispetto delle persone e la tutela del bene comune.

 

ENTRA ANCHE TU NELLA GRANDE FAMIGLIA PHI

 

Sebastiano de Falco

PHI Foundation

UN VIAGGIO VERSO L’ALTRO IN BOSNIA-ERZEGOVINA

Le vicende storiche legate alla nascita della Bosnia-Erzegovina sono complesse, tanto che questa repubblica parlamentare federale è diventata indipendente dalla Jugoslavia solo a partire dal 1992 ed è stata vittima del massacro di Srebrenica nel 1995.

Da quegli anni la situazione è decisamente  migliorata ma, ad oggi,  la Bosnia-Erzegovina detiene  ancora  un primato negativo a livello europeo, cioè il coefficiente di Gini più alto in Europa (0,56).

Questo coefficiente misura la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza ed indica, quindi, che nella Bosnia-Erzegovina coesistono situazioni sociali molto differenti tra loro con tante famiglie in difficoltà ed oltre 100 mila bambini che vivono in condizioni di estrema povertà.

Questo è uno dei motivi che ha spinto l’associazione Born to Child Onlus a programmare il progetto Viaggio verso l’altro per aiutare i bambini della Bosnia-Erzegovina.

Born to Child, nata ad Aprile 2015 ad Andria, è stata fondata sui principi della carità, della solidarietà e del servizio in favore dei bisognosi, minori in particolare, sia in Italia sia nei Paesi in via di sviluppo.

Ha già realizzato una serie di iniziative, tra cui progetti di recupero e distribuzione di indumenti e giocattoli per bambini che vivono in situazione di difficoltà.

E con il nuovo progetto Viaggio verso l’altro l’associazione intende aiutare alcuni orfanotrofi della Bosnia-Erzegovina organizzando, per la prossima estate e con il supporto delle associazioni presenti nel territorio bosniaco, convogli umanitari con furgoni caricati dei materiali donati destinati ai bambini.

E’ possibile partecipare attivamente a questo progetto in Bosnia-Erzegovina, in qualità di volontari, o semplicemente contribuire con una donazione, o in alternativa con beni materiali e di consumo.

Sostieni anche tu  il progetto Viaggio verso l’altro,  per donare ai bambini ospiti degli orfanotrofi della Bosnia-Erzegovina non solo l’aiuto concreto di cui necessitano, ma anche la speranza e l’energia per affrontare con più serenità e fiducia il proprio futuro.

 

PHI Foundation è una Fondazione che si occupa di aiutare tutte le Associazioni operanti nel Terzo Settore, attraverso campagne di informazione e raccolta fondi.

Aiutaci ad aiutare con una piccola donazione, visita la nostra pagina qui.

 

Nicola Minerva

PHI Foundation

I migranti di Delta Park: Una terra promessa?

A volte un film può essere un ottimo strumento di comunicazione per sensibilizzare gli animi degli spettatori nei confronti di una specifica questione. E’ questo il caso di Delta Park, lavoro del regista italiano Mario Brenta e della belga Karine de Villers, che prova a raccontare la lunga ed estenuante attesa dei migranti, all’interno di un hotel italiano che ospita profughi che aspettano il visto per proseguire il loro lungo viaggio verso la speranza.

“Si ode il rumore del mare. Un bambino occhialuto sulla spiaggia guarda una scarpa che il mare ha abbandonato sulla sabbia. Quando se ne va, va verso casa o verso…una terra promessa?”

Frame del film

Con tale immagine suggestiva, ha inizio Delta Park, film documentario di due rinomati registi Mario Brenta e Karine de Villers che, attraverso un inusuale sguardo sulla condizione dei migranti, creano un’opera originale, fuori da ogni cliché.

Già coautori di altri film quali Calle de la pietà, Agnus Dei, Corps à corps, Black Light, Mario Brenta e Karine de Villers fotografano una realtà che non si sofferma sulle stereotipate traversie di viaggi “mediterranei o alpini”, ma va oltre il bistrattato dramma dei migranti, per dirigersi verso un’osservazione analitica di una quotidianità reiterante, che pone lo spettatore in uno stato di attesa in stile “beckettiano”. Il film, infatti, nasce nell’attesa e permane in questa lunga attesa senza soluzione.

L’idea nasce per caso: Mario Brenta è chiamato da un albergatore a valutare la situazione di un hotel che, sovvenzionato dallo Stato, riesce ad arginare il fallimento, trasformandosi in un centro di accoglienza per migranti: il Delta Park.

I registi, durante la fase di realizzazione del documentario, si imbattono, tuttavia, in una realtà insolita, ben diversa dalle aspettative, che impressiona non per le condizioni fisiche in cui vessano i migranti, ben vestiti, ben nutriti e ben curati dal Delta Park, ma per la loro condizione psicologica. “Soffrire a lungo non è come un lungo sopportare. La sopportazione ci insegna ad essere pazienti, ma il soffrire a lungo è solo una lunga pena”, afferma uno dei migranti. In quel luogo di serenità si cela un’altra verità, quella di un quotidiano apparentemente percepito come terra promessa che non si rivela tale.

I migranti trascorrono le loro giornate nell’albergo, che certamente li rifornisce dei beni essenziali alla sopravvivenza, ma che si rivela un limbo da cui non si può uscire, pena la perdita del diritto di accoglienza. Nell’attesa di un visto che mai arriverà, sopravvivono in uno “spazio-tempo”  sospeso tra realtà e finzione. Tutto si ripete, in questo tempo scandito dai rintocchi delle campane e di un orologio a pendolo che funziona male: i suoni, forse gli unici dispensatori di una realtà empirica, rimbombano nelle immagini statiche di persone e di ambienti minimali, un po’ incolti, quasi inanimati.

Si attende. Si attende l’inizio del giorno, si attende la colazione, si attende il pranzo, si attende la cena, si attende la sera per andare a dormire. Le abitudini diventano regole senza eccezione, che cadono in un manierismo macchinoso, scandito dal ritmo della ripetitività. Tra un’attesa e l’altra, per occupare il tempo, si passeggia per le campagne, si canta, si balla, si riparano le scarpe, si gioca a calcio, si prendono lezioni di italiano, si guarda la tv, ci si reca allo sfascio per recuperare qualche bicicletta da aggiustare, ci si annoia.

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E’ proprio la noia, questa inoperosità a generare sofferenza. Il tutto avviene in uno spazio, un purgatorio forse, dove sono raffigurati paesaggi di fabbriche, cantieri, negozi in via di chiusura, al cospetto di una rigogliosa vegetazione, di una natura selvaggia ed affamata di artificio, di costruzioni abbandonate. Natura versus Uomo: un binomio intimistico che viene illustrato in un viaggio alimentato dalla falsa speranza di un qualcosa che mai accadrà. Tuttavia, la staticità degli ambienti e la reiterazione delle azioni, appositamente volute dai registi, creano uno stile armonico monotono, inducendo lo spettatore in uno stato di sospensione che paradossalmente non esclude l’aspettativa di un risultato positivo.

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Tale cinema intimista e simbolico, proprio di un maestro come Mario Brenta e della filmmaker Karine de Villers, è un cinema che, riflettendo se medesimo ed oltrepassando la vetta della scrittura, raggiunge il cosmo circostante, attraverso un viaggio inscritto nella purezza di un’immagine comunicativa, simbolica. Il sentimento di potenza oscura ed illogica, celato nelle trame del telo immaginario, si svela poi nell’interrelazione tra le stesse immagini, che rivelano il vero dramma, quello dell’insoddisfazione umana.

Nella messa in luce di un testo filmico così poliedrico, Mario Brenta e Karine de Villers riescono, dunque, a trasmettere sensazioni reali, comunicando un “meta-messaggio” che va ad analizzare un’atavica ricerca, volta al continuo desiderio di un qualcosa che esiste nell’immaginario, ma che si imbatte nel duro porto della realtà.

“Quale sarà l’ultimo porto dove getteremo l’ancora per non ripartire mai più?”. Questo recita la didascalia finale di Delta Park riprendendo non a caso un passaggio di Moby Dick, grande romanzo-metafora sull’esistenza e sull’essenza dell’uomo e dei suoi ideali. Una domanda a cui è difficile se non impossibile rispondere.

 

Elena Petrillo

PHI Foundation

La maratona televisiva di Telethon e la sua storia

Si è appena conclusa l’annuale maratona televisiva organizzata da Telethon e trasmessa dalle reti RAI per sostenere la raccolta fondi per la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare.

Ma lo sapevate che il nome “ Telethon ” deriva dall’unione di due parole inglesi: “Television” e “Marathon”?

Ebbene sì e ve lo rivelo con molta gioia dal momento che è ormai consuetudine abbinare il termine “ televisione ” a momenti di svago tendenzialmente poco educativi e assolutamente disinteressati a soffermarsi sulle good news. Ma dove sono -direte voi- le belle notizie se ogni giorno da domenica 11 a domenica 18 dicembre sui canali RAI arrivano alle nostre orecchie le ormai sempre più numerose storie di persone affette da malattie genetiche rare?

Beh, ad esempio nel fatto stesso che arrivano!

Mi spiego meglio, non è bello sapere che qualcuna delle nostre emittenti televisive da più di vent’anni condivida con il proprio pubblico racconti di vita vera, non sempre fortunata, alle prese con sfide importanti che necessitano d’amore e soprattutto di continue ricerche scientifiche?

E non è soprattutto bello che a smuovere la sensibilità degli spettatori siano proprio coloro che ogni giorno si trovano costretti a convivere con il dolore di una vita segnata da una malattia ignota e lo fanno con il sorriso e la speranza di chi crede che manchi ancora qualcosa e non si arrende?

Ecco, dal 1990 Telethon lavora proprio per loro, coinvolgendoli nella ricerca scientifica di cui queste malattie genetiche rare necessitano quotidianamente e ” #presente ” è la parola chiave scelta quest’anno perché pensandoci bene, è il termine che meglio si adatta alle storie di Federica, Michele, Nina solo per fare alcuni nomi, che vogliono poter decidere fin da OGGI di credere in un futuro senza malattia e lo fanno raccontando le loro paure con la speranza che queste storie possano essere lo stimolo più diretto per sensibilizzare tutti noi su questo mondo ignoto.

Il primo a proporre un’attività di fundraising che, attraverso una non stop televisiva, arrivasse alle orecchie del pubblico e smuovesse in loro il desiderio di donare, fu un americano ma non uno qualsiasi: Jerry Lewis -come dimenticare il celebre sketch della macchina da scrivere!- comico indiscusso degli anni ’60 e la sua idea si rivelò fin da subito di enorme successo.

Nell’arco di vent’anni la maratona televisiva giunge in Europa con l’AFMAssociazione francese contro le Miopatie ma anche in Italia grazie a Susanna Agnelli e all’ Uildm-Unione italiana lotta alla distrofia muscolare che l’aveva contattata per proporle la poltrona da presidentessa.

Scrittrice, politico ma soprattutto donna con un’innata voglia di aiutare gli altri perché -come lei stessa afferma in un video che potete guardare qui: “pensare solo a sé stessi è una forma di vita molto noiosa”- rispose che avrebbe accettato a condizione di poter far diventare quella piccola associazione qualcosa di grande.

Telethon nasce così quindi, nel 1990 quando Susanna Agnelli decide che era arrivato il momento di far conoscere agli italiani le malattie genetiche rare e di chiedere loro un aiuto.

Ad oggi presieduta da Luca Cordero di Montezemolo, la fondazione Telethon, supera i suoi vent’anni di operato grazie alla risposta positiva che ogni anno il suo pubblico gli riserva continuando nel suo cammino infinito volto a garantire una speranza a tutti coloro che vivono nella malattia e nel terrore che questa non possa essere debellata perché come disse la sua fondatrice Susanna Agnelli: “Telethon continuerà ad esistere fino a quando non si scriverà la parola ‘cura’ accanto al nome di ogni malattia genetica”.

 

Federica Pizzi

PHI Foundation