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Il carcere e il mondo non profit

Quando il non profit e il volontariato è di aiuto alle Istituzioni

“Cattivi si diventa?”.  Questa è la domanda che si pone Philip Zimbardo impegnato nel suo esperimento sul carcere presso l’Università di Stanford. L’esperienza, riportata in un libro “Effetto Lucifero. Cattivi si diventa?”, venne realizzata nel 1971 proprio per esaminare il comportamento umano in un contesto in cui i singoli sono definiti esclusivamente dal gruppo di appartenenza. Philip divide gli studenti che hanno deciso di partecipare al progetto in due gruppi: guardie da una parte; criminali dall’altra. Ebbene, gli episodi di violenza non tardano ad arrivare, tanto che l’esperimento viene interrotto dopo pochi giorni dal suo inizio. È, quindi, vero che cattivi si diventa? Molte delle associazioni non profit presenti sul territorio nazionale sono convinte che il carcere non sia funzionale, tutt’altro. Il carcere è un luogo dove s’impara a delinquere e i volontari impegnati nelle carceri italiane, per conto delle associazioni che si occupano di argomenti e progetti legati ai detenuti, portano loro affetto e qualche parola di conforto, per non lasciarli soli sotto quel cielo a scacchi.

Cattivi si diventa?

Probabilmente è vero che il carcere è, sotto certi aspetti, una università del crimine; in particolar modo per quei giovani detenuti con reati lievi che si ritrovano a dividere la cella con criminali incalliti, dai quali attingere idee e con i quali discutere h24 di atti illeciti. L’esperimento di Zimbardo ci pone di fronte al fatto che ogni istituzione repressiva genera, potenzialmente, violenza e male. Ognuno di noi può trasformarsi in persona cattiva a causa di due fattori:

  • il sistema di appartenenza;
  • il contesto.

Non era, ad esempio, un criminale per predisposizione interna il pilota che sganciò la bomba atomica su Hiroshima: egli stesso affermò: “era il mio dovere”. Come lui, molti altri personaggi che hanno costellato la nostra storia, compiendo atti disumani, non erano criminali per natura; lo diventarono per ideologia e dovere, per senso di appartenenza a un sistema che ha creato danni all’umanità che ancora oggi paghiamo. Una visione particolare la mia, che spesso incontra il disappunto di chi è convinto che il crimine sia innato nelle persone che pongono in essere determinate azioni. Resto, tuttavia, convinta del fatto che il carcere sia un microcosmo dove la repressione, le cattive condizioni e la costrizione fisica portano inevitabilmente ad altro male, ad altra violenza.

Il non profit per il carcere

La mia particolare visione del carcere proviene dalla mia diretta esperienza sul campo. Anni a stretto contatto con l’ambiente e con chi lo vive mi hanno portato a un pensiero critico, che esula da buonismo o voglia di aiutare il bisognoso. Lavorando per associazioni non profit mi sono resa conto, anzi, che il buonismo non porta a nulla. Il volontariato strutturato, professionale, organizzato: questo è ciò che sarebbe utile all’interno delle carceri, così come all’esterno, nelle diverse associazioni che si occupano di carcere a diversi livelli. La professionalità e la visione imprenditoriale, che permettono di investire in progetti concreti di recupero sociale di questi criminali, sono l’unica arma per combattere lo stallo in cui si ritrova l’istituzione carcere oggi.

 

Jenny Rizzo

Phi Foundation