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Mutilazioni genitali femminili: l’amore negato a 125 milioni di donne nel mondo

Mutilazioni Genitali Femminili

Mutilazioni Genitali Femminili: l’amore negato a 125 milioni di donne nel mondo

 

Si stima che siano circa 125 milioni nel mondo le donne che subiscono Mutilazioni Genitali Femminili.

E questo mortifica profondamente perché non c’è niente di più affascinante della sessualità femminile, così intima, accogliente e misteriosa allo stesso tempo. Ma soprattutto unica, perché in grado di restituire al mondo l’amore che riceve sotto forma di altra creatura vivente.

Le attiviste che all’interno delle loro comunità si schierano contro le Mutilazioni Genitali Femminili sono sempre state considerare sovvertitrici di tradizioni e culture. Ma chi difende questa pratica barbarica, radicata da secoli, lo fa con delle argomentazioni prive di basi scientifiche.

Mutilazioni Genitali Femminili

Ecco alcuni esempi:

1)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una prescrizione religiosa e in particolare dell’Islam.

Non è vero: nessuna religione prescrive la circoncisione femminile la cui origine è pre-islamica, probabilmente già in uso nell’antico Egitto, da dove sarebbe poi approdata a Roma come misura per controllare la sessualità delle schiave.

2)      La circoncisione non crea problemi di salute, anzi ha poteri curativi per esempio contro  depressione e malinconia.

Anche questo è falso. Mettendo da parte i danni psicologici, esiste un’abbondante documentazione circa le varie infezioni pelviche causate dalle Mutilazioni Genitali Femminili come cistiti, vaginiti e altre patologie. Il parto poi può risultare complicato e persino portare alla morte del neonato e/o della madre.

3)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una garanzia di verginità.

Affermazione anche questa del tutto arbitraria. Da un punto di vista prettamente anatomico, la verginità è garantita dalla presenza dell’imene. Anzi, a volte può succedere che, date le precarie condizioni con cui vengono effettuate queste operazioni, la membrana dell’imene venga danneggiata.

Potremmo continuare all’infinito. Resta il fatto che la più grande difficoltà incontrata dalle attiviste contro le Mutilazioni Genitali Femminili è di natura culturale. Parlare di certi organi del corpo e delle loro funzioni in molte società è ancora tabù, per questo tutto ciò che può derivare da questi deve essere ignorato ed eventuali sofferenze devono essere considerate come “parte dell’essere donna”.

Un giorno però la voce delle attiviste africane viene ascoltata da Emma Bonino, esponente del partito radicale, che comincia un lavoro di advocacy internazionale attraverso l’organizzazione da lei stessa fondata Non c’è Pace senza Giustizia. Così, nel dicembre 2000, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione che per la prima volta condanna le Mutilazioni Genitali Femminili come violazione dei diritti umani.

Il 30 e il 31 Gennaio scorso a Roma Non c’è Pace senza Giustizia ha organizzato la Conferenza BanFGM sulla eliminazione della pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili nei Paesi dell’Africa francofona, organizzata in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

La conferenza ha valutato i progressi compiuti a livello nazionale e internazionale sul tema, ribadendo che l’impegno deve essere rafforzato da un’azione condivisa a più livelli – locale, nazionale e internazionale – con il maggiore coinvolgimento della società civile.

Oggi il muro del silenzio è caduto. Le Mutilazioni Genitali Femminili  non sono più un tabù e le attiviste che si battono per far applicare le leggi che le vietano non sono messe all’indice né soggette ad atti di ritorsione. Ci auguriamo che questa battaglia continui il suo difficile percorso non solo per tutelare quei diritti umani considerati inviolabili ma anche e soprattutto per restituire a milioni di donne e bambine  l’amore rubato.

 

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Annie Leibovitz: Solo l’arte ci può salvare

Annie Leibovitz: Solo l’Arte ci può Salvare

Annie Leibovitz: Solo l’Arte e Annie Leibovitz ci possono Salvare

 

 

Annie Leibovitz

Solo l’arte è in grado di creare unione tra culture e non divisione, dialogo e non chiusura, ponti e non muri, Annie Leibovitz ce lo insegna.

Infatti mentre, da una parte, temiamo l’arrivo dei migranti permettendo che perdano la vita in mare, dall’altra, persone di origine multietnica diventano preziose guide del nostro patrimonio storico-artistico.

È quello che è accaduto dal 15 al 29 settembre nella sede dell’ex Fabbrica Orobia di Milano in occasione della mostra Women: New Portraits di Annie Leibovitz. Otto donne, Geanina, Lilly, Miriam, Sara, Bahija, Adjia, Esmeralda, Nadia, provenienti da differenti esperienze di migrazione, hanno rivestito il ruolo di vere e proprie mediatrici culturali e hanno illustrato l’intera collezione raccontando al pubblico narrazioni del loro vissuto.

 

Annie Leibovitz

L’arte in questo modo è divenuta storytelling creativo creando connessione sociale tra persone e culture differenti. L’iniziativa è stata realizzata dall’Connecting Cultures con la collaborazione di Comunità Nuova Onlus per far conoscere gratuitamente al pubblico, tramite il racconto di speciali guide, una selezione delle nuove fotografie di Annie Leibovitz che ritraggono artiste, musiciste, amministratrici delegate, scrittrici e filantrope che hanno conseguito nella loro vita risultati eccezionali.

Riscoprire l’arte italiana con gli occhi e la sensibilità di giovani di altre culture ha offerto una nuova chiave di lettura al confronto con il diverso creando una magica empatia con un universo di riferimento “altro”. 

Comunità Nuova Onlus ha già sperimentato questa originale modalità di fruizione dell’arte lo scorso anno con la collaborazione della UBS Art Collection, che si avvale della partnership con enti e istituzioni per realizzare progetti concreti ad alta finalità di inclusione sociale. Uno di questi è stata la mostra Don’t Shoot the Painter esposta nelle splendide sale della GAM di Milano. 

Anche in questa occasione, come per la mostra Annie Leibovitz, voci di giovani di diversa provenienza hanno descritto i capolavori della UBS Art facendo conoscere per la prima volta al pubblico italiano 91 artisti internazionali. Carmen, Daniela, Darius, Elvis, Fatima, Geanina, Lilly, Miriam, Sara, Zhaid hanno raccontato attraverso le proprie culture un inedito viaggio nell’arte contemporanea, dagli anni Sessanta ad oggi, collegandolo ai propri ricordi e alle proprie esperienze di vita.

Quando il racconto non è più quello della mostra e dei suoi quadri, ma diventa la storia, i ricordi e le emozioni di una pluralità di linguaggi, non c’è più nero e bianco, ricco e povero, sud e nord, ma solo coinvolgimento emotivo. 

D’altra parte l’arte nei secoli ha sempre dimostrato di essere comunicazione attiva in grado di arrivare laddove la politica non arriva perché parla ai cuori e non alle menti. E quando popoli diversi si parlano attraverso le proprie storie ed emozioni, allora non c’è più “contaminazione” ma vera integrazione.

Abbiamo vinto tutti.

 

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