Bambini in carcere

A proposito di volontariato e bambini in carcere

A proposito di volontariato e bambini in carcere

Il terzo settore a sostegno delle madri detenute

C’è una storia che vorrei raccontarvi e inizia più o meno così: c’era una volta un bambino che viveva con la sua mamma in una cella di un carcere. Non sembra essere una bella storia, tutt’altro. L’idea di un bambino rinchiuso in una grigia cella, anche se accanto alla sua mamma, non rende bella nessuna favola. Certo noi potremmo fare molto per quel bambino, un figlio innocente che non è solo protagonista di una favola ma è un personaggio reale, così come molti altri bambini costretti a pagare gli errori dei genitori e vivere rinchiuso. Noi tutti dovremmo prendere coscienza del fatto che esistono storie vere come questa e mettere a disposizione volontariamente tempo o conoscenze per trovare, insieme, una soluzione.

Storie di bambini in cella

Giorgio ha cinque anni e vive in carcere da quando ne aveva poco più di uno. Qui ha imparato a camminare, lungo il corridoio del reparto femminile del carcere; qui ha imparato a parlare, se per parlare intendiamo monotoni discorsi sulla pena e sul crimine di mamma e le sue compagne di viaggio. L’unico suono che riesce a riconoscere è quello del blindo che si apre la mattina e si chiude dietro le sue spalle tutte le sere prima di andare a dormire. La storia di Giorgio è quella di una madre condannata per reati legati allo sfruttamento della prostituzione e di Tribunali che non riescono a fare uscire dal carcere un bambino innocente; la storia di servizi sociali che dispongono e di una burocrazia che rincorre i diritti dell’uomo. Nessuno di questi attori si ferma ad osservare il bambino e a pensare che in tutta questa storia ciò che più di ogni altra cosa è urgente è salvaguardare lo sviluppo psicofisico di Giorgio.

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Poi c’è Francesco, che ha compiuto il suo primo anno di vita in carcere, insieme ai volontari, agli operatori e alle altre mamme detenute insieme con la sua. E’ un bambino spento, negli occhi ha solo il grigiore delle mura; non sa bene come è fatto il cielo, come neppure un prato verde dove correre a piedi nudi. La sua mamma ha commesso un brutto reato, legato agli stupefacenti; anche il suo papà è in carcere, divisi nello stesso destino.

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Giorgio e Francesco non vedono nessuno, nessun parente viene a trovare la loro mamma. Solo qualche volontario, un comune cittadino che mette il suo tempo a disposizione dei detenuti, di conseguenza anche dei bambini che popolano il carcere. Tempo utilizzato per disegnare, giocare, camminare, chiacchierare… pur sempre in carcere.

Nessuno si chiede perché Francesco o Giorgio debbano stare li, in cella; perché hanno il diritto di stare con la loro mamma, ovunque essa sia. Ebbene, non so se il diritto di un bambino è vivere rinchiuso. Probabilmente c’è qualcosa di non corretto in queste storie.

Cosa può fare il non profit e cosa prevede la legge

Giorgio e Francesco hanno vissuto i loro primi anni di vita in una cella perché la legge stabilisce che i minori fino ai sei anni debbano stare accanto alla propria mamma. Il lato positivo è che, in caso di lievi reati e pene detentive che possano permettere di usufruire della misura alternativa, bimbo e madre possono essere accolti in strutture adibite ad accogliere queste persone. A Milano, ad esempio, vi è l’Icam, ovvero Istituto a custodia attenuata per madri detenute: una struttura dove gli agenti penitenziari non indossano uniformi; dove non ci sono blindi e celle chiuse ma ampi spazi aperti e condivisi; le pareti non sono grigie ma colorate, a misura di bambino. Tuttavia resta un carcere, con le sue inferriate all’ingresso, con le sue regole e con le sue sbarre alle finestre.

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Ecco che il terzo settore può arrivare dove le istituzioni non arrivano: può dare voce ai reali diritti di questi bambini impegnandosi affinché i luoghi per scontare la pena possano essere a misura di bambino.

Lottando perché queste mamme possano essere detenute fuori dal carcere, sostenendole e accompagnandole nel difficile percorso verso la legalità.

E’ proprio questo che fa l’Associaizone C.I.A.O Onlus di Milano: accoglie madri detenute con i loro bambini, facendo in modo che questi bambini possano essere semplicemente bambini e non detenuti. Impegnando ore di lavoro perché queste donne possano essere seguite nella pena detentiva; affiancando flotte di volontari che dedicano il loro tempo a questi bambini, accompagnandoli a conoscere quel mondo che non avevano mai visto prima. Insieme per insegnare a queste donne ad essere madri, oltre che carcerate.

Perché mamma lo si è sempre e ovunque!

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Jenny Rizzo

Phi Foundation

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