TOSCANA: SCUOLA GRATUITA PER GLI ARTIGIANI

TOSCANA: SCUOLA GRATUITA ARTIGIANI

In toscana nasce la scuola gratuita per gli artigiani affinchè le antiche arti e mestieri non vengano dimenticate, ma anche nel rispetto dei nuovi concetti rappresentati dalla Social Innovation

 

TOSCANA: SCUOLA GRATUITA PER GLI ARTIGIANI

Da tempo il gruppo francese Lvmh, il più grande al mondo nel settore del lusso, sollecitava la Regione Toscana a seguire le orme della Regione Piemonte, con la quale ha stretto accordi per il finanziamento di corsi di formazione (nei mestieri orafi) attraverso fondi europei.

La sollecitazione era tanto più forte, in quanto in Toscana Lvmh possiede la sua più ampia base produttiva italiana, concentrata nella pelletteria, con fabbriche di borse Fendi, Bulgari, Céline, Dior, Louis Vuitton e produzioni Loro Piana ed Emilio Pucci, tutti marchi storici del made in Italy in portafoglio a Lvmh.

In Toscana ora il traguardo viene centrato, non solo nella Social Innovation ma anche con l’avvio del corso per addetto ai prototipi di pelletteria, realizzato da Lvmh in collaborazione con la scuola fiorentina Polimoda (Toscana) e finanziato dalla Regione con fondi europei (attraverso il Por-Fse). Il corso è gratuito ed è stato inaugurato ieri dai vertici del gruppo francese, tra i quali il direttore generale Toni Belloni, e segna il debutto in Italia dell’Istituto dei Mestieri d’eccellenza (Ime) Lvmh, che ha sede in Palazzo Pucci a Firenze.

L’Istituto è operativo da tre anni in Francia e Svizzera, dove ha formato 300 giovani. In Italia l’Ime svilupperà un programma di formazione modellato sulle esigenze delle aziende tricolori del gruppo Lvmh, che – oltre al corso sulla pelletteria a Firenze (per 12 giovani) e a quello sulle lavorazioni orafe al banco a Valenza (per 13 giovani), fatto in collaborazione con For.al – contemplerà presto percorsi formativi in Veneto nel campo della vendita e delle calzature. L’obiettivo dichiarato da Ime è formare gli artigiani del futuro per tramandare il savoir faire nell’universo del lusso, allargando al contempo le opportunità occupazionali dei giovani.

La particolarità della Social Innovation dei corsi in Toscana è l’alternanza tra lezioni teoriche e pratiche unita all’insegnamento delle lingue (inglese e francese) e agli incontri definiti Master class con i professionisti delle maison del gruppo. Alla fine del percorso i giovani avranno la qualifica professionale riconosciuta dalla Regione Toscana e il certificato d’eccellenza dell’Ime Lvmh.

Con la nascita di Ime Italia, Lvmh istituzionalizza dunque la social Innovation e la formazione fatta “in casa”, costruita su misura delle proprie esigenze, dopo l’uscita dalla compagine societaria dell’Alta scuola di pelletteria di Scandicci.

La strada, imboccata anche da altri grandi marchi come Kering (che controlla Gucci) e Prada (che in Toscana stanno dando vita a proprie Academy), si lega alla politica di internalizzazione delle produzioni, avviata ormai da tempo dai brand per controllare qualità e tempi della filiera, e al boom della pelletteria, che solo in Toscana nei prossimi due anni stima una necessità di manodopera di duemila addetti.

 

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Biodistretto Valdera dalla Toscana all’Onu Il boom del Biodistretto Valdera Olio, frutta, vino: ecco come funziona “E ora una cittadella con market e laboratori”

Biodistretto Valdera: Ecco come funziona

Biodistretto Valdera dalla Toscana all’Onu

Il boom del Biodistretto Valdera

Olio, frutta, vino: ecco come funziona

“E ora una cittadella con market e laboratori”

 

Biodistretto Valdera: L’esempio virtuoso di un’iniziativa nata poco prima dello scoppio della pandemia finisce al Food Summit in corso a New York. Tutto nasce dall’alleanza tra associazioni, 10 Comuni e due università. Da qui è nato un meccanismo che permette ai consumatori di risparmiare e ai produttori di guadagnare. “L’obiettivo? Essere autosufficienti su tutti i servizi essenziali”. E per il futuro ecco un centro di eccellenza con supermercato bio, centro conferenze, locali per trasformare le proteine vegetali.

Sarà il Biodistretto Valdera a partecipare al food summit 2021 delle Nazioni Unite che si terrà a New York fino al 24 settembre. Selezionato tra oltre 500 progetti arrivati da ogni continente, il biodistretto si è contraddistinto per la promozione di un principio fondamentale: “Il cibo non deve più essere sfruttamento di risorseumane e ambientali, bensì nutrimento, natura, lavoro, visione di comunità, mercati intelligenti. Per sottolineare e rendere concreta questa istanza, serve una nuova idea di filiera agroalimentare, basata sullo sviluppo di reti locali e di comunità resilienti”. Resilienza e senso di comunità sono alla base dell’idea, sviluppata in collaborazione con l’Università di Pisa e di Torino, che ha portato il biodistretto toscano all’attenzione delle Nazioni Unite.

Biodistretto Valdera

Nato all’inizio del 2020, il progetto è cresciuto con numerose iniziative di autofinanziamento, oltre all’apporto delle associazioni e delle amministrazioni locali. “Il Biodistretto Valdera ha disegnato una Rete di Biodistretti capaci di produrre e scambiare esperienze, conoscenze e, soprattutto, mettere a disposizione alimenti capaci di dare conto del loro contenuto nutritivo, sociale e ambientale perché capaci di narrare, misurare e tracciare con specifici indicatori, la produzione di gas serra, il consumo di acqua ed energia, la produzione di rifiuti inquinanti, il contenuto sociale, il contributo al paesaggio, alla biodiversità e alla rigenerazione del suolo” si legge in una nota. E’ proprio questa capacità di fare rete che lo ha reso un modello su scala internazionale, con sessanta soci e il patrocinio di dieci Comuni: Volterra, Lajatico, Peccioli, Terricciola, Chianni, Casciana Terme-Lari, Capannoli, Palaia, Crespina-Lorenzana, Ponsacco, Pontedera.

Il primo biodistretto italiano risale a circa 20 anni fa, nel parco del Cilento, adesso patrimonio Unesco con 400 aziende, mentre all’estero sono Francia e Austria che hanno maggiormente dato vita a esperienze simili. Oggi, quest’ultima racchiude più di venti biodistretti, promuovendo un esempio di sostenibilità e inclusione sociale. “Il biodistretto Valdera, come ogni altro biodistretto, è organizzato secondo i principi di un’associazione che raggruppa numerose aziende della filiera agroalimentare del territorio insieme a organizzazioni no-profit con la collaborazione delle amministrazioni locali”

L’obiettivo è riuscire a raggiungere l’autosufficienza su tutti i servizi essenziali alla vita. La spinta è data dalla voglia di creare comunità mettendo in rete tutti i biodistretti italiani: un baratto di esperienze, conoscenze e prodotti. Nessun alimento deve essere sprecato: è possibile, infatti, scambiare il surplus tra i distretti ognuno dei quali ha una propria produzione ma anche un’esigenza di acquisto.

All’interno del biodistretto toscano 25 operatori biologici riescono a produrre molte tipologie di alimenti: dall’olio ai formaggigrani antichisalumifruttaverduracastagne fino al vino e alla birra. La vendita avviene sia grazie alle piattaforme online, sia localmente, riuscendo a saltare alcuni passaggi della catena di distribuzione e quindi consentendo margini più alti per i produttori e prezzi più accessibili per i consumatori. Il progetto presentato al summit implica un ulteriore sviluppo del processo di distribuzione: “La vendita in loco dei prodotti avverrà in un centro di eccellenza del biodistretto che al suo interno ospiterà: un supermercato bio, un laboratorio di trasformazione delle proteine vegetali, una gastronomia per la preparazioni di questi prodotti e la vendita a filiera corta, un centro conferenze che ospiterà anche un laboratorio permanente di sostenibilità, curato in collaborazione tra le aziende del biodistretto e gli atenei limitrofi di Pisa e Firenze”.

Biodistretto Valdera

La partecipazione al Summit Food è stata resa possibile anche grazie al supporto dell’università di Pisa che, con il dipartimento di scienze economiche rurali, si è interessata al modello-Valdera, insieme al dipartimento di informatica dell’università di Torino. Il lavoro dei biodistretti, dunque, contribuirà a migliorare anche la dieta mediterranea, oltre ai canoni di produzione e all’attenzione per ogni aspetto: dalla gestione delle consegne alla riduzione di sprechi e spostamenti. “I biodistretti hanno dimostrato di essere luoghi che sanno aggregare le forze migliori del territorio, dal basso, con la consapevolezza che solo attraverso il progressivo miglioramento delle pratiche agricole, le economie circolari locali, l’integrità, la trasparenza e applicando tenacemente una collaborazione inclusiva è possibile contemporaneamente alimentarsi correttamente, creare comunità locali fiorenti e salvare il pianeta”. Inoltre, dopo il summit di settembre, un ulteriore evento sancirà nuovamente l’importanza del biodistretto Valdera a livello internazionale: il 30 ottobre si terrà una conferenza sul concetto di resilienza a cui parteciperanno accademici locali e internazionali, tra cui Molly Scott Cato europarlamentare inglese dei Verdi e docente di Green Economies alla Roehempton University di Londra.

 

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Redazione

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SERGIO MARCHIONNE: UN GRANDE ITALIANO

SERGIO MARCHIONNE: UN GRANDE ITALIANO

 

Sergio Marchionne un grande italiano: Onore e rispetto per un grande uomo italiano che ha dimostrato forza e coraggio nell’intraprendere la strada del cambiamento che poi è stata la svolta per l’impresa che lui ha salvato dal fallimento costruendo un vero impero di orgoglio italiano.

 

Onore e rispetto per Sergio Marchionne grande uomo italiano lungimirante.

 

A seguito della morte de grande uomo Sergio Marchionne, e il conseguente cambio al vertice di FCA, in Italia c’è stato un proliferare di considerazioni sulla complessa figura del manager di Chieti, spesso tirando in ballo informazioni imprecise o addirittura false.

 

Nel rispetto e nell’onorare Sergio e il pullulare di informazioni distorte non corrette desideriamo precisare alcuni fatti:

E’ vero che Sergio Marchionne ha rovinato un’eccellenza italiana, sfruttato i contributi statali e de-localizzato tutta la produzione?

Cerchiamo di fare chiarezza, smontando le bufale che abbiamo raccolto in Rete.

 

“Sergio Marchionne Ha rovinato un’eccellenza italiana”

 

Prima dell’arrivo di Sergio Marchionne la FIAT proveniva da un periodo di perdite pesanti. 4,2 miliardi di euro di perdite nel solo 2002, due miliardi di euro nel 2003, 1,5 miliardi di euro nel 2004. Un totale di 7,7 miliardi di euro di perdite in un solo triennio.

 

Fiat era destinata inevitabilmente a fallire. Anzi, come Marchionne spiegò a Gianluigi Gabetti poco dopo il suo insediamento:

“La FIAT è tecnicamente fallita. Non stupirti. Noi perdiamo due milioni al giorno, non so se mi spiego. Se fallimento significa non avere i soldi in casa per pagare i debiti, bene, allora noi ci siamo”.

 

L’azienda aveva smesso da tempo di essere una “eccellenza italiana“.

 

“Sergio Marchionne Ha regalato FIAT alle banche”

Non proprio.

 

Vista la situazione al momento dell’insediamento, Sergio Marchionne decide di convertire i debiti alle banche in azioni, scongiurando pretese di saldo e allentando la morsa debitoria sul gruppo.

 

Una mossa chiave per la ripresa del gigante ferito.

 

“Sergio Marchionne Ha de-localizzato la produzione”

 

Fin dai suoi primi anni di reggenza in FIAT Sergio Marchionne fa l’esatto opposto.

 

Anziché cedere a strategie già in atto con altre case automobilistiche, che de-localizzano la produzione nei paesi emergenti, riesce a tenere la barra a dritta.

 

Di fatto, FIAT, e poi FCA, non ha mai de-localizzato la produzione a scapito di quella italiana.

 

Invece ha, com’è normale che sia nella messa a punto di strategie aziendali, modificato i piani di produzione dei suoi modelli.

 

Quelli low cost nelle fabbriche di paesi dove la manodopera costa meno e dove FIAT aveva già i propri impianti, quelli “premium” in Italia, dove il maggior costo della manodopera è giustificato da una maggiore cura costruttiva.

 

Sotto la gestione Marchionne, FCA ha aperto tre stabilimenti all’estero.

 

In Brasile, nel 2005, dove FCA aveva già un altro impianto.

 

In Serbia nel 2008 e in Cina del 2010.

 

Questi ultimi due, tuttavia, sono stati aperti con sovvenzioni del governo serbo (33%) e di Guangzhou Automobile Group (50%).

 

Solo quello brasiliano è controllato (e pagato) al 100% da FCA.

 

C’è differenza tra de-localizzare ed espandersi, e non capirla e uno dei problemi dell’arretratezza del nostro paese.

 

“Ha regalato Fiat al suo amico Obama”

No, è il contrario.

 

Nel 2008 CHRYSLER fallì (tecnicamente aderì al così detto Chapter 11), a causa di errate strategie commerciali che riportarono pesanti perdite e per via del blocco dei salari a circa 70 dollari l’ora, contro una media inferiore ai 50 dei diretti concorrenti.

 

La casa americana era nelle mani del Governo a stelle e strisce, che voleva sbarazzarsene a tutti i costi, tanto che la propose a tutti i costruttori, incassando rifiuti su rifiuti.

 

La crisi contingente di quel periodo, nel frattempo, colpì anche FIAT, che vide crollare il valore delle proprie azioni di oltre il 30% ed essere etichettata da Moody’s come “junk” (spazzatura).

 

Sergio Marchionne era dell’idea che FIAT, per superare la nuova crisi, necessitasse di un deciso balzo in avanti a livello produttivo, in modo da arrivare ad almeno 6 milioni di veicoli prodotti l’anno, e vide nell’acquisizione del marchio americano la strategia migliore per farcela in tempi brevi.

 

Così si fece avanti per accettare l’offerta di Obama, ma non prima che il Governo americano avesse già avviato un deciso piano di riduzione dei costi (30%) e di ristrutturazione, con un’iniezione di fondi per un totale di circa otto miliardi di dollari (quasi uguale in euro).

 

Di fatto, Marchionne acquisì un colosso già sulla via del risanamento.

 

Con un’importante conseguenza diretta: FIAT riusciva a entrare nel mercato americano, che l’aveva sempre snobbata, e lo faceva proprio con un marchio americano.

 

“Ha fatto tutto questo a spese degli operai che hanno reso grande FIAT”

Come già spiegato, FIAT prima di Marchionne versava in gravi difficoltà e, tecnicamente, non era “grande”, per lo meno nel senso economico del termine.

 

Il malessere del costruttore, in realtà, era molto antico.

 

Di fatto, il declino iniziò poco dopo la reggenza di Vittorio Valletta, con il punto più basso raggiunto tra il 1995 e il 2004.

 

Il solo insediamento di Sergio Marchionne, da un giorno all’altro, portò le azioni FIAT, molto sofferenti, da 1,61 a 1,8 euro.

 

Oggi quelle azioni (anche se cadute sotto ultima speculazione) valgono circa 15 euro.

 

In merito al rapporto con gli operai, da sempre oggetto di discussione, Marchionne ha in realtà apportato delle innovazioni sostanziali.

 

Per esempio, sotto la sua guida, FIAT nel 2005 ha adottato, prima in Italia, il World Class Manifacturing, che tra i suoi dieci pilastri tecnici annovera la sicurezza sul posto di lavoro e lo sviluppo delle competenze del personale.

 

Nel 2015, tra i 180 stabilimenti nel mondo che aderiscono al WCM, Pomigliano si è classificato al primo posto, diventando anche quello più efficiente d’Italia.

 

Ricordiamo che questo stabilimento, nel 2010, diventò oggetto di un referendum tra i suoi operai (95% di adesione) per accettare il piano di Marchionne che mirava proprio a migliorarne l’efficienza, scatenando un duro scontro con la FIOM: vinse il Sì col 63% e i risultati diedero poi ragione al manager.

 

Dal 2015 FCA, proprio sulla base del WCM, paga un premio di produttività a tutti i dipendenti, che nel 2017 ha toccato una media di 1320 euro.

 

Marco Bentivogli, segretario generale FIM CISL, ha rilasciato un lungo commento  a Il Sole 24 Ore che rivela un Marchionne in realtà molto collaborativo, pur fermo nelle sue idee manageriali.

 

Marchionne ha preso in mano una Fiat da 5,9 miliardi di euro e l’ha trasformata in una FCA da 62 miliardi di euro.

 

Forse è il caso di riconsiderare cosa si intende per “rendere grande FIAT”.

 

“Ha sfruttato gli operai”

Questa è stata presa da una conversazione Facebook che aveva come oggetto la riforma del contratto ai dipendenti di Pomigliano d’Arco.

 

Il futuro dello stabilimento, che all’epoca versava in pessime condizioni ed era esempio negativo di inefficienza, assenteismo e false invalidità, deve passare per una rivoluzione.

 

La strategia di Marchionne si basa essenzialmente su tre punti portanti: riduzione delle pause da 40 a 30 minuti, spostamento della pausa mensa a fine turno e, soprattutto, scatto salariale non più automatico ma legato ai risultati ottenuti dallo stabilimento.

 

In cambio investe 800 milioni di euro nell’impianto e sposta la produzione della Panda dalla Polonia a Pomigliano d’Arco.

 

La mossa ha sicuramente richiesto sacrifici non indifferenti da parte dei dipendenti dello stabilimento, ma i risultati hanno premiato sia loro che FCA.

 

“Ha sfruttato i contributi dello Stato”

Secondo uno studio della CGIA di Mestre, del 2012, Fiat ha ricevuto dallo Stato 7,6 miliardi di euro, ma di questi ne ha reinvestiti 6,2.

 

La maggior parte dei fondi, tuttavia, sono stati ricevuti negli anni ’80, mentre l’ultimo di grossa entità risale alla ristrutturazione dello stabilimento Iveco di Foggia (2000-2003), cioè prima dell’insediamento di Sergio Marchionne.

 

“Ha fatto chiudere quasi tutti gli stabilimenti in Italia”

 

In realtà ne ha fatti chiudere solo alcuni e si trattava di stabilimenti già in stato di grave crisi.

 

Gli stabilimenti FIAT, poi FCA, sul suolo italiano sono (a esclusione di quelli compartecipati e in joint-venture):

Mirafiori (1939)

Grugliasco (1959)

Arese (1963)

Rivalta di Torino (1967)

Pomigliano d’Arco (1968)

Termini Imerese (1970)

Cassino (1972)

Melfi (1993)

 

A oggi, di questi, gli stabilimenti chiusi risultano essere quelli di Rivalta (2004), Arese (2005) e Termini Imerese (2011).

 

Quello di Termini Imerese versava già in pessime condizioni, tanto che la cassa integrazione iniziò nel 1993, e nel 2002 (prima dell’era Marchionne) furono licenziati 223 dipendenti.

 

L’impianto di Arese, costruito in origine dall’Alfa Romeo, conobbe il suo periodo di massimo splendore nel 1982, con ben 19mila dipendenti, ma dall’anno successivo all’acquisizione da parte di FIAT (1986) iniziò un progressivo declino.

 

Il colpo di grazia arrivò nel 1989, quando Regione Lombardia e un giudice amministrativo imposero una riduzione dell’attività del reparto verniciatura da 800 a 400 veicoli al giorno.

 

Dimezzando la produzione.

 

Lo stabilimento di Rivalta, in crisi fin dalla fine degli anni ’90, dagli inizi del 2018 è stato parzialmente riaperto da FCA nell’ottica di un progetto di riqualifica triennale.

 

Nessuno degli impianti compartecipati o frutto di joint-venture è stato chiuso.

 

“Ha mandato via dall’Italia FIAT”

Chiarita la questione sulla presunta de-localizzazione, rimane il nodo, tanto caro ai complottisti, relativo alle sedi fiscali del gruppo.

 

Nel 2014, dopo aver completato l’acquisizione di CHRYSLER iniziata cinque anni prima, FIAT diventa FCA, spostando la sede fiscale ad Amsterdam e il domicilio fiscale a Londra.

 

Posto che FCA è un’azienda votata al profitto, e dunque è libera di adottare le strategie manageriali che meglio crede per garantirsi ricavi e futuro, qualcuno obietta su dove paghi le tasse.

 

FCA continua a pagare l’IRAP su stabilimenti e attività presenti sul territorio nazionale.

 

Ma va sottolineato, ancora una volta, che è una strategia legale, utilizzata da quasi la totalità dei moderni colossi industriali (Google, Amazon e Apple inclusi, giusto per indicarne alcuni).

 

Certo, è venuto a mancare il legame tra il colosso automobilistico e l’Italia, in particolare la città di Torino, ma in un libero mercato, nel pieno della globalizzazione, un manager viene assunto e pagato per impiegare ogni opportunità.

 

Ed è quello che a Sergio Marchionne, conti alla mano come possiamo vedere, è riuscito molto bene.

 

Grazie Sergio sarai sempre nei nostri cuori.

 

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Sebastiano de Falco

PHI Foundation

INIZIA UNA STAGIONE PIU’ ATTENTA ALLA SOLIDARIETA’

Inizia una stagione più orientata alla solidarietà e al non profit.

 

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Codice del Terzo settore, sono adesso in vigore tutti e tre gli ultimi decreti legislativi necessari per completare il percorso della riforma del Terzo settore; risale infatti alle scorse settimane la pubblicazione dei decreti dedicati alla revisione in materia di impresa sociale e alla nuova disciplina dell’istituto del 5 per mille.

 

“Questi ultimi provvedimenti, dopo quelli già approvati sul Servizio civile e sulla Fondazione Italia sociale, concludono un complesso percorso che abbiamo avuto l’onore di seguire fin dall’inizio.

 

Arriva così a compimento una riforma lungamente attesa, anche se forse poco conosciuta da parte del grande pubblico.

 

Si tratta di una riforma – dichiara Sebastiano de Falco, Presidente di PHI Foundation – che ha rilevanza costituzionale in quanto ridisegna l’architettura della società civile.

 

Grazie ad essa si garantiscono “gambe più robuste” alla sussidiarietà orizzontale e una nuova alleanza nei territori tra Terzo settore e Pubbliche amministrazioni.

 

In questa nuova stagione più inclusiva e più attenta alla solidarietà la PHI Foundation è pronta a fare la sua parte.

 

La riforma, infatti, vuole dare impulso alla crescita di un Terzo Settore che sia ancor più trasparente, efficace, radicato nelle comunità di riferimento e capace di affrontare sfide ambiziose, temi da sempre cari PHI Foundation“.

 

A circa tre anni dal lancio delle linee guida che l’ex premier Matteo Renzi fece a Lucca in occasione del Festival Italiano del Volontariato, i provvedimenti attuativi giungono così al traguardo.

 

La riforma nel suo complesso non solo offre nuovi strumenti fiscali ma tocca molti aspetti chiave che vanno dalle donazioni ai social bonus, dal 5 per mille ai titoli di solidarietà, fino al sostegno per lo sviluppo di progetti innovativi.

 

“Non stiamo parlando solo di volontariato e associazionismo, che pure sono il cuore del Terzo settore italiano, ma anche di impresa sociale.

 

La gestione dei beni comuni – aggiunge Sebastiano de Falco – può divenire una grande occasione di buona occupazione, giovanile e non solo.

 

Il cammino è stato lungo, ma con questi ultimi provvedimenti si garantisce una risposta normativa organica ad un ambito di attività cruciale per il futuro benessere delle nostre comunità.

 

Stiamo parlando infatti di una riforma che mette a disposizione del Terzo settore risorse pari a 190 milioni, che tocca più di 300.000 organizzazioni associative, cooperative e di volontariato e che coinvolge più di 6 milioni di cittadini che dedicano tempo all’impegno volontario“.

 

 

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Alessandro Roma

PHI Foundation

IERI, OGGI, DOMANI: #SOCIALINNOVATION

PHI Foundation è un’organizzazione non profit orientata alla cooperazione, al supporto e sviluppo del terzo settore, impegnata nel dare sostegno alle organizzazioni non profit e collaborazione con le imprese indirizzate verso un’economia etica, al fine di costruire insieme una Social Innovation Community dove realizzare dei progetti congiuntamente e contribuire attivamente al miglioramento e sviluppo delle attività di utilità e valore sociale.

 

PHI Foundation è la prima Social Innovation Community a sostegno di chi si impegna quotidianamente nell’aiutare gli altri, aperta a chi desidera partecipare attivamente al cambiamento e farsi coinvolgere rendendo partecipi l’intera comunità. Cooperare con PHI Foundation significa divenire parte integrante di una Comunità che sviluppa progetti etici di utilità e valore sociale volti alla Solidarietà, Equità, Sostenibilità.

 

PHI Foundation sostiene il terzo settore realizzando insieme alle comunità e organizzazioni partecipanti lo sviluppo dell’innovazione sociale con progetti etici di interesse comune e sostanzialmente rivolti allo sviluppo delle economie locali. La Social Innovation è un nuovo modo di intendere la società e il ruolo che l’individuo deve avere al suo interno. Rappresenta l’evoluzione del concetto di Partecipazione e Cooperazione, dove l’elemento fondamentale è costituito dal Coinvolgimento diretto di tutti i protagonisti in campo.

 

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È il nuovo modo di concepire l’engagement sociale al servizio della collettività

 

La Social Innovation (Innovazione Sociale) è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali della comunità mediante la responsabilizzazione degli individui e la volontà di cambiare le relazioni sociali.

 

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Sebastiano de Falco

PHI Foundation

UNA DIGITAL STORY LUNGA UN CURRICULUM

Tutte le esperienze compongono il nostro curriculum che parla di noi con lo scopo di trasmettere la nostra formazione e professionalità facendo trapelare anche alcuni aspetti della nostra vita.  Chi siamo, a cosa aspiriamo, quali sono le nostre priorità, ciò che si legge nel curriculum coincide? Molti individui prestano la loro opera per “buone cause” per acquisire esperienza e fare pratica, specializzarsi, ma non solo, anche al fine di legittimare la loro professionalità tramite certificazioni o attestati di riconoscimento dell’opera “pro bono” compiuta.

A proposito di curriculum desideriamo mettere in evidenza due nostri nuovi “Volontari Digitali” nelle persone di Giorgio D’ambrosio https://www.facebook.com/dambrosio.giorgio.1?fref=ts  e sua moglie Sabina Santucci https://www.facebook.com/sabina.santucci.9?fref=ufi (la quale in questi giorno ha festeggiato il suo compleanno, anche in formula digitale, pubblicando su facebook tutte le foto del lieto evento).

Giorgio e Sabina due nuovi “PHI Digital Volunteers” che riscuotono molto successo espandendo anche la propria visibilità (online – offline) e ampliando la cerchia delle amicizie ma soprattutto sostenendo la causa della PHI Foundation nel divulgare il verbo della Social Innovation.

Cos’è la Social Innovation e cosa si intende con questa espressione?

La Social Innovation è un cambiamento nel modo di fare le cose, un elemento innovativo nel contesto della collettività. Un’interruzione rispetto alle soluzioni generalmente utilizzate e presenta una risposta costruttiva a problemi di ordine economico e sociale.

La Social Innovation contribuisce così al miglioramento degli individui e delle comunità.

Nel più lungo termine e qualora operata da movimenti sociali sufficientemente autorevoli, la Social Innovation può essere fonte di trasformazione sociale e motrice di cambiamento.

La Social Innovation deve essere considerata una risorsa strategica per tutti i Paesi che vogliono pensare allo sviluppo della società in modo nuovo.

Possiamo dire che orientarsi alla Social Innovation oggi è un modo concreto per rispondere alle difficoltà del momento e cercare di risolvere alcuni problemi della nostra società.

La Social Innovation è fatta di idee, creatività, metodologie innovative per trasformare principi teorici e ricerca nella prosperità della comunità sempre più attenta alla sostenibilità e allo sviluppo.

Possiamo dire che per Social Innovation si intende un modo più pragmatico e si può parlare di una tipologia di innovazione capace di creare nuovi saperi, tecnologie, strumenti e forme organizzative con finalità di natura Etica.

Social Innovation è creazione di nuove idee, prodotti, servizi che soddisfano bisogni sociali e nello stesso tempo creano nuove collaborazioni e relazioni.

Il termine Social Innovation esprime, infatti, un doppio significato: innovazione intesa come utilizzo di tecnologie e innovazione realizzata da una comunità e non da un unico individuo o un organismo. Diventa così un risultato collettivo che richiede accordi, condivisioni co-adaptation e dialogo. Si ha, infatti, innovazione sociale solo quando persone e organizzazioni svolgono un ruolo attivo e collaborativo nella realizzazione concreta dei processi innovativi, attraverso la creazione di reti sociali (soddisfare i bisogni della collettività e affrontare le nuove sfide per lo sviluppo). Le nuove comunità dovranno avere una grande capacità di vivere i cambiamenti derivanti: dall’evoluzione scientifica e tecnologica, dal confronto culturale sociale ed economico con le altre comunità con cui bisogna cooperare e competere, dalle incertezze e dai rischi presenti nei piani per garantire un benessere minimo o una cittadinanza inclusiva. Tutto questo può essere gestito al meglio solo attraverso la bussola della Social Innovation, che implica una strategia per la formazione di smart-people, i quali devono vivere secondo i principi dello smart-living in delle smart-communities o smart-cities. Queste ultime da intendere come città dove gli investimenti nel capitale umano e sociale, nei processi di partecipazione, nell’istruzione, nella cultura, nelle infrastrutture per le nuove comunicazioni, alimentano uno sviluppo economico sostenibile, garantendo un’alta qualità di vita per tutti i cittadini e prevedendo una gestione responsabile delle risorse naturali e sociali, attraverso una governance partecipata.

Tutto questo spinge a puntare prioritariamente sulla smart-education (sviluppo di piattaforme territoriali di e-learning, di public digital library, ecc.), cittadinanza attiva (strumenti di open-government, legalità, uso responsabile del territorio, ecc), capacità di vivere il cambiamento (strumenti e azioni che agevolino il cambiamento delle regole sociali e la capacità di realizzare e utilizzare le innovazioni). In tutte queste azioni è certamente rilevante il ruolo dell’ingegneria e in particolar modo di quella legata all’ICT (Information & Communication Technology).

Sabina e Giorgio insieme agli altri membri della comunità PHI Foundation sostengono il divulgarsi del pensiero della Social Innovation e con il loro supporto digitale contribuiscono allo sviluppo della nuova Entità Partecipativa e di condivisione, certificata con il prezioso Attestato redatto in carta pergamena “PHI Digital Volunteers” a riconoscimento della loro efficace opera.

L’innovazione sociale è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali che la volontà delle persone sembra sempre più in grado di affrontare con la responsabilizzazione degli individui, e la volontà di cambiare le relazioni sociale.

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RIPARTIRE INSIEME: EREDI E NON REDUCI

RIPARTIRE INSIEME: EREDI E NON REDUCI

RIPARTIRE INSIEME: EREDI E NON REDUCI

 

RIPARTIRE INSIEME: EREDI E NON REDUCI: Dalle parole di Matteo Renzi al Lingotto, oltre a tutti i ringraziamenti ai partecipanti e (in particolare ai volontari), emerge che non vi è prospettiva di sviluppo senza un vero e risolutivo cambiamento, quindi, “ripartire insieme” andando incontro, anzi, “rivendicare il futuro” come “eredi e non reduci” di un passato verso il tramonto.

 

Matteo Renzi parla della lotta per l’uguaglianza e garanzie di riscatto sociale delle pari opportunità, di promuovere il capitale umano, affrontare la sfida educativa rivendicando un futuro progressista in direzione di una società etica con solidi valori, rilanciando contenuti e ideali, contemporaneamente restituire una speranza al paese al fine di garantire solide prospettive alle generazioni future.

 

Matteo Renzi propone partecipazione e coinvolgimento lanciando una provocazione da progressista e innovatore, “realizziamo insieme lo sviluppo dell’innovazione sociale con progetti di interesse comune e sostanzialmente rivolti a dare lavoro ai meritevoli e progresso in assoluta trasparenza restaurando un clima di fiducia tra il cittadino e le istituzioni”.

 

L’innovazione sociale è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali che la politica tradizionale sembra sempre più in grado di affrontare, la responsabilizzazione dei gruppi e degli individui, e la volontà di cambiare le relazioni sociali.

 

“Eredi non Reduci”

 

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Sebastiano de Falco

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SERVIZI PUBBLICI PAGATI CON MONETA SOCIALE

SERVIZI PUBBLICI CON MONETA SOCIALE

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SERVIZI PUBBLICI PAGATI CON MONETA SOCIALE

SERVIZI PUBBLICI PAGATI CON MONETA SOCIALE: La città settentrionale di Zugo, del cantone svizzero Zugo, ha deciso di consentire, per alcuni servizi pubblici come parte di un giro di prova, pagamenti in moneta sociale locale (moneta complementare locale – Local Crypto Social Money.

 

Per alcune prestazioni comunali (che includano servizi di pubblica utilità), sarà concessa la possibilità di pagarli con moneta sociale locale, fino a 200 franchi di valore.

 

Il periodo di prova è destinato a valutare la vitalità economica a lungo termine di accettare in pagamento per i servizi pubblici la crypto valuta.

La città di Zugo, è conosciuta come “la crypto valley”, un’area geografica, dove lavorano molte start-up tecnologiche che sviluppano in orientamento della crypto valuta con riferimento alla tecnica denominata (blockchain-based).

 

Il sindaco di Zugo dice: “Vogliamo esprimere la nostra apertura a creare un clima favorevole allo sviluppo delle nuove tecnologie in particolare orientato alle crypto money … il nostro obiettivo è di soddisfare le esigenze imprenditoriali al fine di consolidare la crescita ottimale nel nostro ambiente fiorente delle crypto money”.

 

Pertanto, innovazione tecnologica nel rispetto dellinnovazione sociale la quale è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali con la responsabilizzazione e la volontà di cambiare le relazioni sociali.

 

La Social Innovation si concentra sulle nuove tipologie di lavoro e avanzate forme di cooperazione (modelli di business o capitalismo Etico), in particolare attività sostenibili con il fine di aumentare la qualità della vita.

 

“Insieme siamo in grado di nutrire il seme di altruismo che è insito in ognuno di noi”

 

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LA MONETA COMPLEMENTARE EVOLUZIONE SOCIALE UN BENE COMUNE

 

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#RENZI: INSIEME VERSO IL CAMBIAMENTO

Matteo Renzi dimettendosi da tutte le cariche è divenuto un uomo libero ritornando in possesso del proprio tempo che sta impiegando nel visitare altre nazioni (privatamente senza giornalisti e telecamera) come nel suo ultimo viaggio negli Stati Uniti d’America dove vi è andato al fine di valutare nuove idee e prospettive e distintamente (l’evoluzione delle energie alternative o come la tecnologia cambia il mercato del lavoro e riduce l’occupazione oltre molte altre preziose info).

 

Giro il mondo per ossigenare il cervello! Dichiara Renzi, sostenendo che fermare il progresso e la tecnologia o pensare di rallentare è assurdo, «Le invenzioni – dalla stampa all’automobile – hanno avuto sempre ricadute sociali ed il compito adesso è di affrontare i problemi che derivano dalla rivoluzione digitale e i costi in termini di perdita posti di lavoro».

 

Renzi continua: molti sventolano il “reddito di cittadinanza” come risposta all’assenza di lavoro e soluzione di tutti i mali, ma garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo Uno della Costituzione Italiana che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione.

 

«Serve un lavoro di cittadinanza» In questi tempi di forti cambiamenti dobbiamo rivoluzionare il welfare. Niente rassegnazione o ripiegamenti su se stessi, via quindi il tono irritato quando si parla di tecnologia e innovazione mentre vi sono grandiose opportunità che si possono cogliere cambiando il concetto di lavoro come sinora lo abbiamo interpretato.

 

Coltivare dei sogni, continua Renzi nell’intervista concessa al giornale Il Messaggero: «spostando il reddito dalla rendita all’innovazione» e quindi al lavoro poiché non dobbiamo credere alle profezie di una società senza lavoro (jobless society), tantomeno a coloro che si rassegnano proponendo una rendita, come il “reddito di cittadinanza”, che dà ai giovani un messaggio sbagliato di ripiegamento su se stessi, ma occorre ricreare le opportunità per i giovani che hanno voglia di fare orientandosi alla Social Innovation.

 

Il cambiamento in atto si muove velocemente con il “terzo settore” protagonista congiuntamente ad un “capitalismo etico” dirigendosi verso modelli concettuali della “Social Innovation” e al fine di garantirsi il successo, questa strada la dobbiamo percorrere (costruire) insieme.

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