PHI Foundation Satira: La Satira e il Sociale

Satira: La Satira incontra il Sociale

Satira: La Satira e il Sociale

 

In questi ultimi giorni abbiamo assistito ad un esempio di satira che ci ha colpito direttamente.

Mi riferisco alle vignette del giornale satirico che qualche giorno fa è stato colpito nuovamente.

Per chi se la fosse persa l’immagine del terremoto in Italia con oltre 300 vittime e milioni di euro di danni allego qui di seguito l’immagine “incriminata”:

images

 

La vignetta ha fatto molto discutere, in Italia e non. Si sono aperti parecchi dibattiti sono stati presi d’assalto da italiani, indignati, offesi e arrabbiati con la testata giornalistica francese, rea di aver insultato e denigrato i nostri connazionali morti sotto le macerie di un cataclisma imprevedibile ed ineludibile.

Di fronte ad una tale levata di scudi, lo stesso giornale si è sentito in dovere di pubblicare una seconda vignetta per giustificare e spiegare meglio il senso della prima:

Charlie Ebdo

A questo punto direi di entrare un pò nel merito delle due vignette:

Nella prima si legge che gli italiani, emaciati, feriti e schiacciati dalle macerie del terremoto, sono sempre più preoccupati del loro cibo e del loro stile di vita da trascurare la sicurezza delle abitazioni nelle quali vivono. Detta cosi, la frase potrebbe anche avere senso, anche se non capisco la relazione tra cibo e sicurezza infrastrutturale. E dato che non sono il solo a non aver compreso bene questo connubio, i “satirici” francesi si sono sentiti in dovere di spiegarlo meglio attraverso la seconda vignetta, nella quale viene ribadito il concetto che le nostre case sono costruite con metodi mafiosi e non c’entra niente prendersela con la satira.

Ora, non so voi, ma io ritengo che ironizzare su tragedie simili sia quantomeno inopportuno. Ho letto molti commenti, recensioni e giudizi su quanto fatto dai francesi, e concordo con chi sostiene che la “satira” in quanto tale, debba essere scomoda, irriverente, anticonformista e debba provocare delle reazioni forti, anche di disgusto.

Tutto questo è vero, dai tempi di Dante e prima ancora dei drammaturghi greci, la satira è uno strumento che serve a scuotere le coscienze e a far riflettere su questioni morali, sociali e politiche, ma credo che a tutto ci sia un limite. In ogni caso, se anche volessimo attenerci alla regola satira=shock ritengo che in comunicazione se un messaggio non viene recepito dal pubblico non dipende dalla “cattiva” predisposizione del pubblico, ma probabilmente dalla incapacità a realizzare una forma espressiva comprensibile.

Personalmente ritengo che le vignette di satira, non solo siano di cattivo gusto, ma questo abbiamo visto fa parte della natura stessa del concetto di satira, ma siano poco comunicative, poco chiare e non raggiungano l’effetto desiderato, ovvero spingere alla riflessione e all’autocritica.

Voi cosa ne pensate? E’ giusto fare satira su questioni sociali cosi toccanti e coinvolgenti? Davvero non ci sono limiti di decenza e di buonsenso a ciò che può essere argomento di satira?

 

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America: Il mito Cowboy vince lotta per i diritti del mondo

America: Il mito Cowboy vince lotta per i diritti del mondo

Il mito in America del Cowboy bianco vince sulla lotta per i diritti del mondo no profit

America

In un paese come l’ America, dove le donne hanno impiegato un secolo per conquistare quei privilegi e diritti di cui da sempre godevano i maschi bianchi, l’elezione di Donald J. Trump rappresenta davvero una sconfitta.

Il presidente neo-eletto degli Stati Uniti ha palesato in campagna elettorale una visione misogina del mondo. Per questo associazioni no profit che si battono per l’empowerment femminile come il Global Fund for Women esprimono il timore che il nuovo Presidente riporti indietro i progressi ottenuti nel campo della parità di genere.

Ma a venir minacciati non sono solo i diritti delle donne, anche quelli dei migranti, dei rifugiati e dei musulmani che vivono negli Stati Uniti.

Con l’elezione di Donald J. Trump le divisioni aumenterebbero, con gravi rischi per tutti.

America

Ma il pericolo più grande per l’ America è che frange estremiste legate ai movimenti di supremazia razziale possano sentirsi autorizzate a colpire le minoranze che vivono nel paese.

Linda Sarsour, attivista di origine palestinese ed Executive Director dell’Arab American Association esprime estrema preoccupazione per le politiche future nei confronti dei migranti musulmani e dei figli dei migranti. Il giorno dopo le elezioni i suoi figli non sono voluti andare a scuola per paura di possibili aggressioni.

Durante la corsa alla Casa Bianca, uno degli slogan di Donald J. Trump è stata la proposta di chiudere gli ingressi di musulmani negli Usa per ostacolare il rafforzamento dell’Isis. Ora le comunità arabe sono confuse e temono schedature di massa. La paura e la richiesta di sicurezza, saranno temi centrali nei dibattiti dei mesi a venire.

America

Preoccupate sono anche le Organizzazioni no profit che tutelano i diritti delle comunità messicane. Come Border Angels (Ángeles de la Frontera), che offre assistenza legale ai Messicani che attualmente vivono negli Stati Uniti e allestisce dei centri di soccorso lungo il confine tra California e Messico per ridurre la mortalità lungo le rotte migratorie tra i due paesi.

Una buona fetta del mondo americano del no profit teme di essere lasciato fuori dal programma politico del neo presidente e di dover dunque venire in soccorso da solo ai bisogni delle persone più svantaggiate nei campi dell’istruzione, della salute, della cultura e dei diritti. Si chiede altresì se dovrà fronteggiare una diminuzione della raccolta fondi di fine anno perché quando le persone si sentono insicure e sfiduciate nel futuro, sono meno disposte ad aiutare gli altri.

A questo punto non ci rimane che sperare che gli slogan politici di Donald J. Trump in fase pre-elettorale nei confronti delle donne e delle minoranze etniche non vengano portate negli uffici della Presidenza. E che la retorica venga messa da parte per lasciare il posto ad azioni concrete di promozione della dignità delle donne, delle minoranze etniche e degli obiettivi sociali perseguiti da tutte le associazioni no profit. Non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo.

Una domanda però rimane aperta: l’ America tornerà ad essere grande come ha promesso Donald J. Trump? O, al contrario, rischia di diventare più piccola?

 

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Delta Park

Delta Park: Una terra promessa?

I migranti di Delta Park: Una terra promessa?

 

Delta Parrk: A volte un film può essere un ottimo strumento di comunicazione per sensibilizzare gli animi degli spettatori nei confronti di una specifica questione. E’ questo il caso di Delta Park, lavoro del regista italiano Mario Brenta che prova a raccontare la lunga ed estenuante attesa dei migranti, all’interno di un hotel italiano che ospita profughi che aspettano il visto per proseguire il loro lungo viaggio verso la speranza.

“Si ode il rumore del mare. Un bambino occhialuto sulla spiaggia guarda una scarpa che il mare ha abbandonato sulla sabbia. Quando se ne va, va verso casa o verso…una terra promessa?”

Frame del film

Con tale immagine suggestiva, ha inizio Delta Park, film documentario di due rinomati registi Mario Brenta e che, attraverso un inusuale sguardo sulla condizione dei migranti, creano un’opera originale, fuori da ogni cliché.

Già coautori di altri film quali fotografano una realtà che non si sofferma sulle stereotipate traversie di viaggi “mediterranei o alpini”, ma va oltre il bistrattato dramma dei migranti, per dirigersi verso un’osservazione analitica di una quotidianità reiterante, che pone lo spettatore in uno stato di attesa in stile “beckettiano”. Il film, infatti, nasce nell’attesa e permane in questa lunga attesa senza soluzione.

L’idea nasce per caso: Mario Brenta è chiamato da un albergatore a valutare la situazione di un hotel che, sovvenzionato dallo Stato, riesce ad arginare il fallimento, trasformandosi in un centro di accoglienza per migranti: il Delta Park.

I registi, durante la fase di realizzazione del documentario, si imbattono, tuttavia, in una realtà insolita, ben diversa dalle aspettative, che impressiona non per le condizioni fisiche in cui vessano i migranti, ben vestiti, ben nutriti e ben curati dal Delta Park, ma per la loro condizione psicologica. “Soffrire a lungo non è come un lungo sopportare. La sopportazione ci insegna ad essere pazienti, ma il soffrire a lungo è solo una lunga pena”, afferma uno dei migranti. In quel luogo di serenità si cela un’altra verità, quella di un quotidiano apparentemente percepito come terra promessa che non si rivela tale.

I migranti trascorrono le loro giornate nell’albergo, che certamente li rifornisce dei beni essenziali alla sopravvivenza, ma che si rivela un limbo da cui non si può uscire, pena la perdita del diritto di accoglienza. Nell’attesa di un visto che mai arriverà, sopravvivono in uno “spazio-tempo”  sospeso tra realtà e finzione. Tutto si ripete, in questo tempo scandito dai rintocchi delle campane e di un orologio a pendolo che funziona male: i suoni, forse gli unici dispensatori di una realtà empirica, rimbombano nelle immagini statiche di persone e di ambienti minimali, un po’ incolti, quasi inanimati.

Delta Park

Si attende. Si attende l’inizio del giorno, si attende la colazione, si attende il pranzo, si attende la cena, si attende la sera per andare a dormire. Le abitudini diventano regole senza eccezione, che cadono in un manierismo macchinoso, scandito dal ritmo della ripetitività. Tra un’attesa e l’altra, per occupare il tempo, si passeggia per le campagne, si canta, si balla, si riparano le scarpe, si gioca a calcio, si prendono lezioni di italiano, si guarda la tv, ci si reca allo sfascio per recuperare qualche bicicletta da aggiustare, ci si annoia.

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E’ proprio la noia, questa inoperosità a generare sofferenza. Il tutto avviene in uno spazio, un purgatorio forse, dove sono raffigurati paesaggi di fabbriche, cantieri, negozi in via di chiusura, al cospetto di una rigogliosa vegetazione, di una natura selvaggia ed affamata di artificio, di costruzioni abbandonate. Natura versus Uomo: un binomio intimistico che viene illustrato in un viaggio alimentato dalla falsa speranza di un qualcosa che mai accadrà. Tuttavia, la staticità degli ambienti e la reiterazione delle azioni, appositamente volute dai registi, creano uno stile armonico monotono, inducendo lo spettatore in uno stato di sospensione che paradossalmente non esclude l’aspettativa di un risultato positivo.

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Tale cinema intimista e simbolico, proprio di un maestro come Mario Brenta e della filmmaker, è un cinema che, riflettendo se medesimo ed oltrepassando la vetta della scrittura, raggiunge il cosmo circostante, attraverso un viaggio inscritto nella purezza di un’immagine comunicativa, simbolica. Il sentimento di potenza oscura ed illogica, celato nelle trame del telo immaginario, si svela poi nell’interrelazione tra le stesse immagini, che rivelano il vero dramma, quello dell’insoddisfazione umana.

Nella messa in luce di un testo filmico così poliedrico, Mario Brenta  riescono, dunque, a trasmettere sensazioni reali, comunicando un “meta-messaggio” che va ad analizzare un’atavica ricerca, volta al continuo desiderio di un qualcosa che esiste nell’immaginario, ma che si imbatte nel duro porto della realtà.

“Quale sarà l’ultimo porto dove getteremo l’ancora per non ripartire mai più?”. Questo recita la didascalia finale di Delta Park riprendendo non a caso un passaggio di Moby Dick, grande romanzo-metafora sull’esistenza e sull’essenza dell’uomo e dei suoi ideali. Una domanda a cui è difficile se non impossibile rispondere.

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Mutilazioni genitali femminili: l’amore negato a 125 milioni di donne nel mondo

Mutilazioni Genitali Femminili

Mutilazioni Genitali Femminili: l’amore negato a 125 milioni di donne nel mondo

 

Si stima che siano circa 125 milioni nel mondo le donne che subiscono Mutilazioni Genitali Femminili.

E questo mortifica profondamente perché non c’è niente di più affascinante della sessualità femminile, così intima, accogliente e misteriosa allo stesso tempo. Ma soprattutto unica, perché in grado di restituire al mondo l’amore che riceve sotto forma di altra creatura vivente.

Le attiviste che all’interno delle loro comunità si schierano contro le Mutilazioni Genitali Femminili sono sempre state considerare sovvertitrici di tradizioni e culture. Ma chi difende questa pratica barbarica, radicata da secoli, lo fa con delle argomentazioni prive di basi scientifiche.

Mutilazioni Genitali Femminili

Ecco alcuni esempi:

1)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una prescrizione religiosa e in particolare dell’Islam.

Non è vero: nessuna religione prescrive la circoncisione femminile la cui origine è pre-islamica, probabilmente già in uso nell’antico Egitto, da dove sarebbe poi approdata a Roma come misura per controllare la sessualità delle schiave.

2)      La circoncisione non crea problemi di salute, anzi ha poteri curativi per esempio contro  depressione e malinconia.

Anche questo è falso. Mettendo da parte i danni psicologici, esiste un’abbondante documentazione circa le varie infezioni pelviche causate dalle Mutilazioni Genitali Femminili come cistiti, vaginiti e altre patologie. Il parto poi può risultare complicato e persino portare alla morte del neonato e/o della madre.

3)      Le Mutilazioni Genitali Femminili sono una garanzia di verginità.

Affermazione anche questa del tutto arbitraria. Da un punto di vista prettamente anatomico, la verginità è garantita dalla presenza dell’imene. Anzi, a volte può succedere che, date le precarie condizioni con cui vengono effettuate queste operazioni, la membrana dell’imene venga danneggiata.

Potremmo continuare all’infinito. Resta il fatto che la più grande difficoltà incontrata dalle attiviste contro le Mutilazioni Genitali Femminili è di natura culturale. Parlare di certi organi del corpo e delle loro funzioni in molte società è ancora tabù, per questo tutto ciò che può derivare da questi deve essere ignorato ed eventuali sofferenze devono essere considerate come “parte dell’essere donna”.

Un giorno però la voce delle attiviste africane viene ascoltata da Emma Bonino, esponente del partito radicale, che comincia un lavoro di advocacy internazionale attraverso l’organizzazione da lei stessa fondata Non c’è Pace senza Giustizia. Così, nel dicembre 2000, il Parlamento Europeo adotta una risoluzione che per la prima volta condanna le Mutilazioni Genitali Femminili come violazione dei diritti umani.

Il 30 e il 31 Gennaio scorso a Roma Non c’è Pace senza Giustizia ha organizzato la Conferenza BanFGM sulla eliminazione della pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili nei Paesi dell’Africa francofona, organizzata in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e l’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.

La conferenza ha valutato i progressi compiuti a livello nazionale e internazionale sul tema, ribadendo che l’impegno deve essere rafforzato da un’azione condivisa a più livelli – locale, nazionale e internazionale – con il maggiore coinvolgimento della società civile.

Oggi il muro del silenzio è caduto. Le Mutilazioni Genitali Femminili  non sono più un tabù e le attiviste che si battono per far applicare le leggi che le vietano non sono messe all’indice né soggette ad atti di ritorsione. Ci auguriamo che questa battaglia continui il suo difficile percorso non solo per tutelare quei diritti umani considerati inviolabili ma anche e soprattutto per restituire a milioni di donne e bambine  l’amore rubato.

 

PHI Foundation è un’associazione che si occupa di sostenere ed aiutare tutti gli operatori che si muovono nell’ambito del Terzo Settore, attraverso l’informazione e la promozione di raccolte fondi.

Se vuoi aiutarci in questo compito, sostienici attraverso un contributo cliccando su questo

 

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Figlio: Non sei Idoneo ad essere mio Figlio

Figlio: Non sei Idoneo ad essere mio Figlio

Figlio: Non sei Idoneo ad essere mio Figlio

 

Figlio: Non sei Idoneo ad essere mio Figlio. Quella che oggi pubblichiamo è una storia molto toccante e cruda tratta dalla testimonianza di un nostro lettore.

Speriamo possa essere utile a scuotere qualche animo sensibilizzandolo su problemi legati all’accettazione familiare dei disabili.

“La storia che voglio raccontarvi oggi, parla di un figlio la cui vera identità non verrà resa pubblica e il cui nome, se citato, sarà di pura invenzione.

Il tutto ha inizio qualche decennio addietro quando i genitori, sperando in un futuro migliore, decidono di trasferirsi in Australia, dopo la nascita del figlio tanto atteso.

In un freddo giorno d’inverno viene alla luce questo piccolo pargoletto, che dopo 3 ore dalla nascita, viene colpito dal virus della polio, facendo così svanire i sogni di un trasferimento in Australia.

Sin dai primi anni di vita, il bambino ha affrontato varie operazioni al fine di migliorare o ridurre il suo handicap ed in parte riuscendovi, ma senza sapere che la barriera più grande da affrontare era all’interno del suo nucleo familiare.

All’inizio degli anni settanta il bambino viene condotto in un istituto in Umbria, dove vi rimane per un decennio e dove fa amicizia con altri ragazzi poliomielitici più o meno gravi di lui tornando in famiglia solo 2 volte l’anno.

Nel 1980 con la chiusura definitiva dell’istituto il bambino ormai cresciuto viene posto davanti ad una scelta, tornare in famiglia o essere inserito in una comunità, scelse di tornare in famiglia.

Il bambino che ormai è diventato un giovane adolescente, si accorse ben presto di essere escluso dal resto del nucleo familiare, di essere isolato da quelle persone che dovrebbe essere il suo punto di riferimento, di essere allontanato, “ripudiato” per colpa del suo handicap,  rifiutato dal proprio padre.

Con il passare dei giorni, mesi ed anni, il ragazzo si rendeva sempre più conto del disprezzo o dell’odio che il padre nutriva nei suoi confronti, al punto da costringerlo ad andare a dormire e mangiare in una stanza adibita a magazzino con annessa una stalla per il ricovero degli animali.

Le uniche parole che il giovane ragazzo sentiva uscire dalla bocca del padre erano solo parole di disprezzo nei suoi confronti, “chi non è buono per se stesso non è buono neanche per la regina“, “prendi la fune ed impiccati”, “ti disconosco come figlio“, “non ti voglio più vedere, vai via di casa” ed altre frasi simili.

Il ragazzo, oggi un uomo, da qualche anno ha messo su famiglia, ancora non viene accettato dal padre e spesso è ancora maltrattato, anche in presenza di altre persone benchè abbia raggiunto una certa età e maturità.

Figlio: Non sei Idoneo ad essere mio Figlio

Con questo articolo voglio far conoscere il disaggio di un figlio che ha qualche problema fisico o psichico col quale deve fare i conti giornalmente.

Nonostante siamo nel 3° millennio, purtroppo, di storie come questa ve ne sono in abbondanza.

Per fortuna esistono strutture come www.postpolio.it e www.disabili.com in grado di prendersi cura e di aiutare chi è affetto da queste gravi menomazioni.”

 

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Suor Rosemary: Tra le cento donne più influenti

Suor Rosemary: Cento donne più influenti

Suor Rosemary: Tra le cento donne più influenti

 

  1. Introduzione della Storia di Suor Rosemary:  

Suor Rosemary, ha aperto una scuola in Uganda per le ragazze vittime di abusi e torture, cosicché possano diventare delle sarte.

Vorrei  scrivere, raccontando del  coraggio di Suor Rosemary che nonostante le numerose maschere oscure è riuscita comunque a dare serenità e calma nella vita di queste ragazze di Gulu in estrema difficoltà.

Suor Rosemary è stata inserita dal Time fra le centro donne più influenti.

Suor Rosemary

E’ stata ospite del primo Festival della Missione che si è svolto recentemente a Brescia  lo scorso 15 ottobre. Ma cosa avrà mai fatto di così tanto particolare una piccola suora cattolica per finire nell’elenco stilato dal Time delle cento donne più influenti del mondo, dove abitualmente entrano personaggi come Angela Merkel Ivanka Trump?

La risposta può sembrare quasi dantesca ma è la pura verità: è scesa all’inferno e vincendo le sue paure, ha riportato alla luce quante più creature possibili, in gran parte giovani donne. Qualcuno l’ha ribattezzata anche come «la Madre Teresa di Gulu» una  divinità  proveniente dalla città del Nord dell’Uganda. Quando giungerete al termine  di questa  Storia, forse anche Voi, avrete un candidato nel Vostro cuore, al Nobel per la Pace: Suor Rosemary Nyirumbe.

2  La Guerra in Uganda e Le Ragazze di Gulu: 

Non tutti sanno che nel Nord dell’Uganda la terra solitamente è rossa, ma negli ultimi trent’anni quel colore è stato accentuato da un fiume di sangue. Ma cos’è accaduto veramente?  Un fanatico, dal nome Joseph Kony, si mise alla testa di un gruppo di ribelli e chiamò i suoi disperati Esercito di Resistenza del Signore (LRA), dichiarando di voler ripristinare i Dieci Comandamenti con un sadismo che si fatica anche solo a pensare. Suor Rosemary era cresciuta in una famiglia dove non le era mai mancato l’amore. Per questo decise  di diventare Suora, per restituire un po’ di quell’amore. Ha imparato a fare l’ostetrica, si è laureata e quando nel Nord dell’Uganda scoppiò l’ennesima guerra civile, le sue superiori la mandarono a dirigere la scuola di Santa Monica a Gulu.

E’ così che Suor Rosemary ebbe l’opportunità di insegnare  alle ragazze a confezionare degli abiti. Fu così, che in quel momento, scoprì il vero  inferno sceso in terra attraverso gli occhi di centinaia di ragazze.

Ormai, già da molto tempo si sapeva delle razzie di Kony, quello che si sapeva, racconta Suor Rosemary, è che entravano perfino nei villaggi, uccidevano, depredavano e rapivano i bambini per trasformarli in assassini che avrebbero dovuto “purificare” il mondo. Ma in realtà Lei non sapeva quello che sarebbe potuto succedere in seguito, nella foresta, e ciò che accadeva alle sopravvissute che riuscivano a tornare a casa. Alcune delle Sue allieve non alzavano mai neppure gli occhi nella scuola di sartoria . Poco dopo riuscì a riconquistare la loro fiducia e venne  inondata da storie che le tolsero il sonno.

Storie di bambine rapite di notte o mentre tornavano da scuola, stuprate davanti ai genitori che poi venivano uccisi, utilizzate come schiave del sesso per i soldati e obbligate a tornare nei villaggi a uccidere i loro parenti. Alla minima protesta venivano mutilate, seviziate, torturate. A volte anche solo per gioco, come in una tombola, a chi capitava si tagliava un orecchio, le labbra, un arto. A ogni assalto di villaggio venivano dati degli obiettivi: “devi ucciderne almeno cinque, altrimenti uccidiamo te”.

Ma per fortuna ci sono state ragazze che sono riuscite a salvarsi, ma una volta  tornate a casa erano considerate comunque immonde, scarti, loro e i loro figli, contaminate dalla malvagità dei banditi. E fu così che Suor Rosemary si decise a cogliere l’attimo per far si che quegli scarti se li potesse prendere anche Lei. Decise dunque che il passato non poteva  più esistere e che avrebbe potuto esserci solo un futuro migliore per le ragazze di Gulu. E così lanciò un messaggio via radio al Time, nella loro scuola di sartoria ed è così che le ragazze tornate dalla foresta con i loro bambini furono protette ed amate. Cominciarono a giungere a decine, centinaia.

Un’altra storia agghiacciante, narra di una ragazza rapita insieme alla sorellina: al primo fiume da guadare la costrinsero ad ucciderla con un coltellaccio perché rallentava la marcia.

Ma quando Suor Rosemary riuscì a convincerla che Dio l’avrebbe perdonata, è diventata la migliore sarta della scuola.

Queste ragazze sono state sfamate per anni nella scuola di sartoria che divenne simbolo di amore ed accoglienza,  venne costruita attraverso un metodo di organizzazione eccellente ed un servizio di catering incluso. Vi furono diversi  convegni, riunioni, matrimoni e tutto quel che capitava per racimolare denaro. Quando si riseppe di ciò che stava accadendo in questo sperduto posto Ugandese, a Gulu, cominciarono ad arrivare aiuti, soprattutto dall’America; si sono occupati del supporto alle ragazze di Gulu anche l’ex presidente Clinton e sua figlia Chelsea. Grazie a loro, sono riusciti a vendere negli Stati Uniti, come oggetti di lusso anche le borsette realizzate con le linguette delle lattine realizzate dalle ragazze.

Non vi sembra una “metafora”?

Gli scarti sono presto diventati pietre preziose, come le ragazze di Gulu, quasi tutte tornate a vivere una vita degna di essere vissuta.

Ma ciò che più ci incuriosisce è sapere quanta fede bisogna avere per vivere una vita come quella di Suor Rosemary, e come ha raccontato Lei: «La fede aiuta, certo. Ma io non sono brava a parlare di Dio, mi riesce meglio farle le cose, credere nell’impossibile. Così dovete fare Voi se volete aiutare l’Africa: insegnateci a lavorare e fate smettere le guerre; noi abbiamo bisogno di pace, giustizia e lavoro, non di carità».

Questa Storia ci insegna di come la volontà da parte di Suor Rosemary, possa aver cambiato completamente la vita di queste ragazze e potrebbe essere da esempio per qualsiasi individuo che ha le possibilità di fare del bene ma  spesso si oppone a quest’idea e solo attraverso l’intento positivo che si riscopre il gesto più solidale di poter finalmente aiutare concretamente le ragazze di Gulu, durante la guerra civile in Uganda, fa capire quanto sia importate inseguire  un cammino costruito sui passi della spiritualità e delle fondamenta che può lasciare un percorso di formazione scolastica, e poter essere in grado di acquistare maggior sicurezza e fiducia in se stessi, per non smettere mai di amare il prossimo e fare del bene come ha fatto Suor Rosemary per le ragazze di Gulu in Uganda durante la Guerra Civile.

 

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Integrazione su misura

Integrazione su misura

CIDIS ONLUS: LA INTEGRAZIONE SU MISURA

 

La CIDIS Onlus si occupa da trent’anni di promuovere la integrazione di stranieri, apolidi, rifugiati e richiedenti asilo all’interno della comunità locale e basa gran parte della sua pratica nella convinzione che la diversità culturale sia soprattutto ricchezza e che sia importante “contrastare discriminazioni e marginalità sociale”.

Abbiamo avuto modo di parlare con la responsabile dell’area progetti della CIDIS Onlus in Umbria, Angela Giallorenzi, per comprendere la genesi dei progetti destinati all’integrazione della popolazione straniera e a chi i progetti vengono effettivamente rivolti.

Scopriamo innanzitutto che sebbene l’immigrazione in Italia risulti essere in buona parte di transito, in Umbria assume un carattere prettamente stanziale. Questo dato è sintomatico di come i fenomeni di immigrazione presentino varie sfaccettature. L’individuazione di un profilo del migrante medio è dunque tutt’altro che scontata e, di conseguenza, spesso stilare un prototipo può risultare fuorviante. L’associazione infatti si impegna nello sviluppo di progetti pluriformi e la varietà dei progetti rispecchia la varietà dei suoi destinatari. Basti pensare infatti che la provenienza della popolazione immigrata in Umbria è piuttosto variegata.  Inoltre alle differenze culturali vi sono da aggiungere le diversità socio-demografiche: tutti elementi che fanno sì che i progetti siano spesso concepiti e cuciti addosso a dei campioni, che sulla base della nazionalità di origine, del sesso, dell’età e di altre condizioni sociali dell’individuo e dell’eventuale famiglia al seguito, presentano esigenze e problematiche peculiari della integrazione.

Mai più soli nel cammino verso l’autonomia

Emblematico in tal senso è il progetto “Mai più soli” , in quanto risponde all’emergente fenomeno dell’arrivo di minorenni (e di neo-maggiorenni) non accompagnati in Italia. Come è facile immaginare questo fenomeno si trascina dietro la problematica della solitudine e della mancanza di punti di riferimento validi ai fini di una buona integrazione sociale nel territorio.

Il progetto “Mai più soli”, che coinvolge insieme alla CIDIS altre tre associazioni nazionali, si propone di accompagnare il minore in tutte le fasi iniziali dell’accoglienza e della integrazione, attraverso la messa a regime del sistema dei tutori volontari e dell’Affido Familiare. A queste pratiche vengono affiancati interventi di tutela legale e di advocacy, nonché l’organizzazione di incontri e campagne di sensibilizzazione per educare la società autoctona ai valori dell’accoglienza e dell’inclusione. Ciò che è interessante del progetto è che esso si prefigge lo scopo ultimo di aiutare il giovane immigrato ad affrontare nella giusta maniera l’inevitabile condizione iniziale di spaesamento, a rimanere quindi all’interno del sistema e a scoraggiarlo dal seguire punti di riferimento sbagliati. Il progetto punta molto sul ruolo di influenza del tutor volontario, una figura che si offre di seguire il minore, di essere recettivo alle sue esigenze e di aiutarlo a capire dinamiche e valori della nuova società che li accoglie. Il progetto incentiva la messa in pratica della Legge Zampa di aprile del 2017 e le associazioni coinvolte hanno il ruolo di proteggere il minore, coordinare l’abbinamento tra il minore e  il tutore o il minore e la famiglia di accoglienza, o dell’accoglienza presso infrastrutture. Il fatto che il progetto si occupi congiuntamente dei minori non accompagnati e dei neo-maggiorenni suggerisce l’importanza e dunque la centralità del monitoraggio del passaggio all’autonomia, in quanto riconosciuta come fase particolarmente delicata.

Integrazione significa autonomia ed empowerment

In realtà il raggiungimento dell’autonomia rappresenta un percorso frastagliato per tutti gli stranieri, in particolare per quanto riguarda la padronanza della lingua, delle regole sociali e delle nozioni sul funzionamento delle istituzioni italiane (come ad esempio la scuola che presenta dinamiche e regole diverse da quelle di altri paesi). Questo spiega l’abbondanza di attività di insegnamento e di tandem linguistici promossi dalla CIDIS, che vanno da corsi di alfabetizzazione anche in lingua madre, a corsi di lingua italiana più avanzati. Insegnare la lingua significa iniziare gli stranieri al processo di empowerment, di acquisizione di quegli strumenti necessari alla comprensione della società civile di accoglienza e alla rivendicazione dei propri diritti.

 

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Giorno della Memoria ANED

GIORNO DELLA MEMORIA E ANED

IL GIORNO DELLA MEMORIA E ANED

 

Giorno della Memoria

Si è appena svolto, come ogni 27 Gennaio, il Giorno della Memoria, una ricorrenza internazionale istituita per commemorare le vittime dell’Olocausto, perché proprio in quel giorno nel 1945 il campo di concentramento di Auschwitz fu liberato dalle truppe dell’Armata Rossa.

Sono migliaia le iniziative che vengono organizzate in tutta Italia per celebrare il Giorno della Memoria e, tra le associazioni no profit maggiormente attive nelle commemorazioni, notevole è l’impegno di ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati nei Campi Nazisti).

L’ANED è un’associazione, senza fini di lucro ed eretta Ente Morale dal 1968, a cui aderiscono  i sopravvissuti allo sterminio nazista, i familiari dei deportati e coloro che vogliono studiare e divulgare la storia delle deportazioni nei Lager nazisti con lo scopo di valorizzare il contributo dei deportati alla causa della resistenza e affermare gli ideali perenni di libertà, giustizia e pace, avviando a concreta realizzazione il testamento ideale dei caduti.

L’ANED ha sezioni in diverse città italiane e il suo costante impegno nella pubblicazione di studi e ricerche sulla deportazione ha permesso la nascita della Fondazione Memoria della Deportazione, in cui è affluita tutta la documentazione di oltre 50 anni di attività dell’associazione.

Molti gli eventi organizzati nel 2017 in occasione del Giorno della Memoria da ANED o a cui l’associazione ha collaborato o partecipato, da una conferenza sul tema “Lo sfruttamento del lavoro nei campi nazisti” ad Udine, alla Prima Corsa della Memoria voluta dall’Unione delle Comunità ebraiche italiane a Roma, a “Il treno di Teresio” a Vigevano, ad una serie di manifestazioni a Firenze e in tante altre città italiane.

Ma anche tu puoi sostenere l’associazione ed aiutarla nel suo obiettivo di far conoscere, soprattutto ai giovani, la storia della deportazione e del Giorno della Memoria attraverso un versamento alla segreteria nazionale dell’ANED.

PHI Foundation è un’associazione che si occupa di sostenere ed aiutare tutti gli operatori che si muovono nell’ambito del Terzo Settore, attraverso l’informazione e la promozione di raccolte fondi.

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VOLONTARIATO INTERNAZIONALE TOGETHER FOR NEPAL

VOLONTARIATO INTERNAZIONALE

VOLONTARIATO INTERNAZIONALE TOGETHER FOR NEPAL

 

La prima volta  ho sentito parlare di Pierangelo Fabbri da un amico, di ritorno da alcuni mesi di volontariato internazionale, con l’Associazione Togheter for Nepal.

In tanti forse non ricordano i terremoti della primavera  2015 in quel paese alle falde dell’Himalaya, ma non Pierangelo Fabbri, missionario e volontario internazionale per vocazione che, destino della sorte, si trovava nel paese himalayano proprio in quei fatidici giorni.

Fabbri è missionario e fa parte del gruppo di volontariato internazionale da decenni e quando ho potuto intervistarlo, ha esordito con una frase piuttosto celebre: Sono come una piccola matita nelle mani di Dio, questo mi ha insegnato Madre Teresa, che ho conosciuto nel lontano 1982 durante un  periodo di volontariato  all’orfanotrofio Shishu Bhavan di Calcutta.

Il pensiero della “Piccola Suora” mi ha accompagnato in tutti gli anni a venire ed in particolare in quel desolato 25 aprile 2015, quando un fortissimo terremoto di magnitudo 7.8 sconvolse il Nepal, causando più di 8000 vittime, oltre a milioni di senzatetto, a soli due mesi dall’arrivo della stagione delle piogge monsoniche. Così decisi che, invece di fuggire, sarei rimasto lì ad aiutare quel popolo afflitto e sofferente. 

I risultati delle Associazioni di Volontariato Internazionale

(Puoi vedere https://www.givingway.com/organization/together-for-nepal)

Mi sistemai in un campo di tende  alla periferia di Kathmandu.

Dalla armonia, che si creò fin da subito tra il popolo nepalese e noi volontari e con lo scopo di coordinare le iniziative umanitarie delle diverse associazioni internazionali, nacque a Kathmandu l’Associazione “TOGETHER FOR NEPAL”.

Grazie ad essa, alla cooperazione ed al sostegno di tanti volontari, onlus e Associazioni Internazionali,  fummo in grado di distribuire tonnellate di cibo, tende, coperte, divise e materiale scolastico nella Valle di Kathmandu e in tanti piccoli sperduti villaggi himalayani. Costruimmo inoltre decine e decine di casette di bambù e lamiera per le famiglie di sfollati e organizzammo diverse librerie ed aule scolastiche temporanee, nei cortili delle  scuole crollate, (quasi 5000 scuole vennero distrutte dal terremoto), organizzammo poi la “sponsorizzazione scolastica” (adozione a distanza) per 12 bambini, alcuni rimasti orfani di entrambi i genitori.

Infine, tra le macerie della storica cittadina semi distrutta di Bungamati, nella Valle di Kathmandu, costruimmo inoltre la nuova sede della Bungamati Foundation, un’Associazione fortemente operativa in quella zona. 

Volontariato Internazionale per il sostegno alle famiglie

Consapevoli  che ricostruire gli edifici  non è sufficiente ad apportare le necessarie migliorie, mentre lo è una buona formazione:

  • Abbiamo istituito incontri formativi e workshop, per insegnanti, studenti, volontari e progettisti di ONG.
  • Tuttora stiamo portando avanti numerosi corsi di formazione: tessitura, taglio e cucito, informatica, corsi per elettricisti, corsi d’igiene, di nutrizione e sana alimentazione.
  • Stiamo anche lavorando a numerosi progetti mirati a ricreare una pur minima autosufficienza economica:

– Costruzione di un laboratorio per la tessitura.

– Costruzione di strutture per allevamento, con l’acquisto di pulcini e di capre.

– Distribuzione macchine da cucire, filtri acqua, medicinali, apparecchiature mediche, carrozzelle, computer, attrezzatura da elettricista, libri e materiale didattico in scuole e orfanotrofi.

Vedi, io credo che solo quello che avremo seminato di positivo nella vita gli uni degli altri sarà ciò che rimarrà di noi quando lasceremo questa vita terrena ed in fondo, diciamocelo, il fare volontariato, il mondo del no profit, la fratellanza e l’interessamento  fra gli esseri umani  sono sicuramente quanto di meglio possiamo offrire al nostro prossimo, vicino e lontano che sia. Così ognuno di noi potrà scoprire quella felicità che deriva dal far felici gli altri”. 

Proposta “viaggio di volontariato internazionale” e raccolta fondi Associazione Together for Nepal

Durante l’intervista, Pierangelo raccontava senza interruzioni, senza posa.

Dedizione e fervore erano palpabili nel resoconto, così come nell’invito col quale ha voluto concludere la sua testimonianza: “Se  ti andasse potresti venire in Nepal con noi volontari a conoscere e a vedere con i tuoi occhi quella realtà. Hanno ancora tanto bisogno di noi e noi di loro,  per rammentare i più antichi e autentici valori della vita!”

L’invito di Pierangelo e della Associazione Together for Nepal è rivolto a tutti. 

L’incontro col dinamico ospitale patriarca

Ho pensato di tenere per ultima quella che per me è stata la foto più dolce che ho recuperato dagli scritti di Pierangelo di quei giorni. Quando lui l’ha rivista qui, dentro l’articolo, si è commosso di nuovo.

“L’uomo ultra-ottantenne con cui scambio il saluto “Namaste”, vive nella casetta di lamiera assieme alla moglie semiparalizzata, ai figli e nipoti, una famiglia di 15 persone. Di fianco a noi ci sono le macerie della loro casa distrutta. Dopo averci offerte delle susine, l’unica cosa che avevano, continuava ad insistere affinché rimanessimo lì a dormire. Poi ci accompagnò al nostro veicolo e appena mi sporsi dal finestrino per salutarlo lui iniziò a correrci dietro. Non potrò mai dimenticare quel momento. Ho pianto e piango ancora nel ricordarlo”. Pierangelo Fabbri

 

 

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Uova di Pasqua per le vittime del Kurdistan

UOVA DI PASQUA PER LE VITTIME DEL KURDISTAN

UOVA DI PASQUA PER LE VITTIME DEL KURDISTAN

 

Uova di Pasqua

Uova di Pasqua: Negli ultimi mesi le vicende legate alla guerra siriana riempiono le pagine di cronaca nera, ma anche i territori confinanti con la Siria, come il Kurdistan, vivono da tempo drammi senza fine.

Il Kurdistan ha una particolarità: è una nazione ( non uno Stato indipendente) la cui popolazione ha subito nel XX secolo tragiche politiche di discriminazione razziale da parte di Turchia e Siria, che hanno tentato con ogni mezzo di negare l’identità e l’esistenza stessa del popolo curdo.

Per aiutare gli abitanti del Kurdistan, ed in particolare le famiglie delle vittime di Cizre, l’associazione Verso il Kurdistan Onlus ha organizzato la campagna uova di Pasqua 2017.

Verso il Kurdistan Onlus nasce con l’obiettivo di sostenere progetti di cooperazione, sviluppo locale e dei diritti umani nel Kurdistan turco per interrompere la spirale di violenza, guerra e militarizzazione che coinvolge la regione e costituisce una minaccia per la pace in tutto il Medioriente.

La campagna uova dell’associazione è realizzata in collaborazione con Rete Kurdistan Italia​ e con il sostegno del CSVA e il ricavato sarà utilizzato per aiutare le famiglie delle vittime della città martire di Cizre.

Questa  città è definita la Guernica kurda, per richiamare al celebre dipinto di Pablo Picasso, perché ha subito in passato  mesi di bombardamenti che hanno distrutto tutto e lasciato solo rovine.

Il costo delle uova pasquali è di  12  euro per ogni uovo fondente o al latte, del peso di 500 grammi, e la Onlus si rende disponibile, a fronte di un certo quantitativo di uova prenotate, anche ad effettuare il trasporto in loco.
Sostieni anche tu le famiglie delle vittime della città di Cizre, la Guernica del Kurdistan: per maggiori informazioni puoi consultare il sito www.versoilkurdistan.blogspot.com o inviare una mail all’indirizzo: versoilkurdistan@libero.it

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Popoli Indigeni Impegno Claudio Santamaria

Popoli Indigeni Impegno Claudio Santamaria

Popoli Indigeni Impegno Claudio Santamaria

Claudio Santamaria e il suo impegno umanitario

a difesa dei popoli indigeni

Popoli Indigeni

È ormai cosa nota che dietro gli occhioni blu e la barbetta incolta dell’attore Claudio Santamaria, si celi un uomo tutt’altro che superficiale e, anzi, dedito ad un certo impegno umanitario. Forse però pochi sanno che Santamaria ha un debole per una categoria sociale, se così possiamo definirla, piuttosto insolita. Si tratta dei cosiddetti popoli indigeni, resistenti nuclei umani a testimonianza di una realtà che, a primo impatto, sa di arcaico, superato, selvaggio.

Ad un secondo sguardo, però, l’esistenza di questi popoli testimonia piuttosto che la diversità umana è ancora oggi, a dispetto dell’era della globalizzazione in cui viviamo, piuttosto ricca.

Con indigeni si vuole indicare gli abitanti nativi di un determinato luogo, ovvero i diretti discendenti dei popoli ancestrali che lo hanno popolato in passato: gruppi umani tratteggiati spesso da elementi culturali caratterizzanti circa lo stile di vita, la ritualità, la lingua madre.

I diritti dei popoli indigeni:

Esistono infatti popoli, uomini, che, vicino o lontani da una minacciosa estinzione, contrassegnano le proprie vite dedicandosi a sistemi economici primitivi, alla devozione a divinità poligamiche sconosciute ai più e al confezionamento artigianale di abiti e oggetti tradizionali. Spesso vivono in dimore rudimentali e non sentono l’impellente esigenza di riempire di tecnologia le loro esistenze. In altri casi, invece, vengono rigettati via dalla corrente progressista del loro paese, lasciati ai margini, sul ciglio della strada dello sviluppo.

In ogni caso si tratta di popoli spesso perseguitati e indifesi, che con i pochi mezzi di cui dispongono lottano per preservare la loro terra dalle ingordigie delle multinazionali, delle compagnie minerarie e dai mercati. Lottano, in poche parole, per il diritto alla salvaguardia del proprio piccolo angolo di mondo. Spesso questo angolo di mondo altro non è che un pezzo di foresta ed è, in fondo, interesse di tutti gli essere umani del pianeta proteggerla da ulteriori deforestazioni e condotte inquinanti.

Survival International:

Chi si dedica alla difesa di questi popoli e delle loro cause è, dal 1969, Survival International, l’unica organizzazione ad occuparsi dei diritti dei popoli indigeni in tutto il mondo, senza scopo di lucro e senza godere di entrate (tantomeno di finanziamenti statali), se non quelle liberamente pervenute grazie alle donazioni dei volontari.

Fra gli ambasciatori di Survival International c’è proprio l’italianissimo Claudio Santamaria, che nel 2009 ha prestato la sua voce al film-documentario “Mine: Storia di una montagna sacra”, che ha vinto il premio per il “miglior corto” nella categoria Diritti Umani dell’Artivist Film Festival di Hollywood.

La storia che viene raccontata è la battaglia dei Dongria Kondh, popolo indigeno dell’India che lotta per impedire alla compagnia Vedanta l’estrazione di risorse minerarie dalla montagna Niyamgiri, a loro molto cara poiché considerata sacra e venerata come una divinità.

ANTEPRIMA DEL VIDEO: https://www.survival.it/film/mine%20

L’attore ha inoltre collaborato a diverse iniziative per la sensibilizzazione e/o la raccolta di fondi da destinare alle campagne promosse da Survival International. Il 2 marzo 2010 ha messo in scena al teatro piccolo Eliseo di Roma lo spettacolo “La notte poco prima della foresta”, un monologo senza respiro che parla della difficile condizione dell’essere straniero. Nella piece il protagonista arriva a desiderare di scappare dalla periferia urbana in cui si sente ingabbiato e rifugiarsi nella foresta, lontano da ingiustizie, guerre e stress. In quell’occasione Santamaria, in qualità di testimonial, ha portato a conoscenza del suo pubblico le attività promosse da Survival International.

La campagna per i popoli incontattati:

Fedele con il suo impegno, a febbraio del 2018, Santamaria ha lanciato insieme ad altri attori dal calibro di Gillian Anderson e Wagner Moura (attore protagonista della serie “Narcos”), una campagna mondiale con un toccante video-appello a difesa dei popoli incontattati. Si tratta di manciate di uomini, donne, bambini, distribuiti per il pianeta, dall’Amazzonia alla Papua Occidentale, il quale stile di vita ricorda quello dei nostri preistorici antenati. La storia di questi curiosi popoli millenari si è susseguita nei secoli in maniera del tutto indipendente da quella del resto dell’umanità e la loro memoria sopravvive solo grazie ai racconti dei pochi superstiti. Essi non hanno rapporti con le civiltà dominanti dei confini politici a cui appartengono le loro terre. Sono del tutto estranei ai flussi globalizzanti, sia quelli mediatici che quelli culturali e, per questa ragione, si tratta di popoli vulnerabili e del tutto impreparati agli strumenti del progresso dell’Occidente.

Popoli indigeni che potrebbero soccombere di fronte alla speculazione edilizia, all’espansionismo di altri gruppi umani o al solo incontro fisico (per via della mancanza di difese immunitarie adeguate) con essi.

ANTEPRIMA DEL VIDEO: https://www.survival.it/notizie/11927

L’impegno umanitario di Santamaria ci ricorda che molte grandi battaglie per i diritti umani si combattono grazie alla conoscenza e a mobilitazioni globali. La diversità umana è sotto minaccia ma abbiamo la possibilità di apportare un aiuto concreto, come sempre nel nostro piccolo, informandoci, facendo donazioni, condividendo e firmando gli appelli umanitari.

 

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minori stranieri non accompagnati

Minori stranieri non accompagnati

Ci vorrebbe Popobawa per farci aprire gli occhi sulle vite invisibili dei minori stranieri non accompagnati

 

Minori stranieri non accompagnati

Il vero dramma dei minori stranieri non accompagnati è che sono completamente soli. Hanno affrontato da soli il lungo viaggio per scappare da povertà e guerre dei paesi di origine e rimangono soli anche ora che sono sbarcati in Europa. Senza alcun adulto che si occupi e preoccupi per loro. Le associazioni umanitarie come Unicef e UNHCR che soccorrono i profughi in Grecia e in Italia denunciano la presenza di migliaia di minori stranieri non accompagnati. Anche se entrati irregolarmente in Italia, i minori migranti sono titolari di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, ratificata in Italia con legge n. 176/91. Il diritto alla protezione, alla salute, all’istruzione, all’unità familiare, alla tutela dallo sfruttamento, alla partecipazione.

 

Minori stranieri non accompagnati

Eppure tantissimi bambini e ragazzi marciano smarriti per cercare una terra che li accolga. Si ritrovano esposti al rischio di finire nella rete criminale che fa affari con la tratta di schiavi sessuali e di organi o nella rete dello spaccio di stupefacenti. L’Europol, l’Agenzia per la Sicurezza Europea, lo scorso anno denunciava più di 10 mila minori non accompagnati giunti in Europa e scomparsi nel nulla.

Per questo è necessario elaborare una strategia di lungo periodo che miri non solo a tutelare i diritti umani dei soggetti più vulnerabili ma anche ad aumentare le risorse per il capacity building nei paesi di origine dei migranti, costruendo infrastrutture e facilitando l’accesso di tali stati ai mercati finanziari. Questa potrebbe essere una strada da percorrere in cambio di un maggior controllo alle frontiere e di una più proficua cooperazione sui rimpatri.

 

Minori stranieri non accompagnati

La sorte incerta dei minori stranieri non accompagnati dovrebbe scuotere il senso di umanità della comunità internazionale. E invece nessuno si preoccupa del destino di queste vite invisibili. Al contrario, molti Stati Europei chiudono le frontiere e irrigidiscono le regole di entrata con la conseguenza che le politiche di cooperazione internazionale vengono utilizzate sempre più per fini di controllo dei flussi migratori piuttosto che per progetti di sviluppo.

Mi ha sempre impressionato la leggenda del demone nano Pocobawa. In Zanzibar, quando la situazione politica è conflittuale per le elezioni o per problemi economici, si fa vivo Popobawa. Ha un occhio solo, ali di pipistrello, orecchie a punta e coglie di sorpresa la notte violentando uomini e donne. La vera natura di Popobawa è legata all’inconscio collettivo e al passato culturale della gente di Zanzibar, caratterizzato da violenze e soprusi.

Mi piacerebbe un giorno svegliarmi e scoprire che è venuto Popobawa anche da noi, in Europa. Per far aprire gli occhi a tutti i governanti dei nostri paesi perbenisti sulle tante violazioni dei diritti umani che continuiamo a tollerare, soprattutto quelle nei confronti dei minori stranieri non accompagnati.

Popobawa non esiste, è solo una leggenda. Io però non voglio smettere di sognare una “Mamma Europa” che sappia ascoltare, accogliere e proteggere tutti i bambini invece che abbandonarli alla mercé di criminali e sfruttatori.

Perché un bambino è un bambino ovunque.

 

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Lampedusa: l'isola che non c'è

Lampedusa: l’isola che non c’è

Lampedusa: l’isola che non c’è

 

Lampedusa: Per alcuni, come me e te, è uno dei luoghi più ameni d’Italia, ricco di vegetazione e immerso nel mare cristallino… per altri, invece, è “l’Isola che non c’è”, quella cioè che non si riesce a raggiungere perché si perde la vita in mare prima di potervi approdare. Infatti, secondo i dati dell’Unhcr, solo quest’anno, le vittime dei naufragi sono di oltre 2.500.

Lampedusa è tra le rotte migratorie scelte per raggiungere l’Europa da rifugiati e richiedenti asilo provenienti da vari paesi come Siria, Afghanistan e Africa Sub-sahariana. Sono persone disposte a mettere a rischio tutto, persino la propria vita, pur di fuggire dai conflitti armati, dai genocidi, dalle carestie o da altre calamità naturali che affliggono le proprie nazioni.

Mentre nel mondo i conflitti si moltiplicano, cosa fa l’Unione Europea di fronte a questa situazione?

Lampedusa: l’isola che non c’è

Da una parte c’è l’Italia, rimasta da sola a soccorrere i sopravvissuti nelle acque che circondano Lampedusa, dall’altra ci sono stati come Austria, Ungheria e Regno Unito che, ai propri confini, introducono barriere e controlli per frenare l’entrata dei profughi, lasciando che il mare sia l’unica soluzione per raggiungere il continente e chiedere protezione internazionale.

Menomale però che ci sono più di 200 studenti provenienti dalle scuole superiori di tutta Europa a ricordarci che i diritti umani sono da tutelare, sempre. Grazie al progetto “L’Europa inizia a Lampedusa” questi ragazzi si sono incontrati a Lampedusa, dal 30 settembre al 3 ottobre, per commemorare con workshop, seminari e laboratori i 368 migranti che il 3 ottobre 2013 morirono a largo dell’isola.

Hanno trascorso insieme quattro giornate di scambio interculturale sui temi dell’integrazione e della solidarietà, principi fondamentali e che, non a caso, hanno ispirato la nascita dell’Unione Europea.

Lampedusa: l’isola che non c’è

In seguito a questa iniziativa, il “Comitato 3 Ottobre”, Onlus nata per istituire il 3 ottobre proprio come data simbolica della “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione“, inaugurerà in accordo con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, una “Sezione Giovani” all’interno del Museo della Fiducia e del Dialogo di Lampedusa. Tale spazio sarà dedicato alle opere più belle che i ragazzi realizzeranno durante l’anno scolastico venturo e che saranno scelte tra quelle che sapranno meglio esprimere i valori di dialogo, fiducia e integrazione.

L’incontro degli studenti europei è stata un’importante occasione di crescita per ricordare la strage di tante vite umane affogate tre anni fa nelle acque del Mediterraneo, ma soprattutto ha trasformato Lampedusa in un’ “isola che c’è” per tutti coloro che credono nella fratellanza e nella convivenza tra popoli.

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GIOIELLI MORBIDI UN MODO PER SALVARE LE DONNE IN CAMBOGIA

GIOIELLI PER SALVARE DONNE IN CAMBOGIA

GIOIELLI MORBIDI UN MODO PER SALVARE LE DONNE IN CAMBOGIA

GIOIELLI MORBIDI

Qualche giorno fa sono stata contatta da Il Nodo Onlus perché la sua fondatrice Luciana e la volontaria Emanuela erano appena tornate dalla Cambogia e volevano darmi una bellissima notizia: dopo anni di studio e di intenti, sono riuscite ad aprire un nuovo corso nella loro scuola, la “Bottega dell’Arte” per le donne in Cambogia, in modo da allontanarle dalla strada e dalla povertà. In questo corso le ragazze impareranno non solo a cucire e ricamare ma verrà loro insegnato a creare una nuova linea di gioielli chiamata “Gioielli Morbidi”.

La scuola raccoglie ragazze anche piccole (15/16 anni) per “rubarle” all’indigenza e alla prostituzione.

Nascere donne in Cambogia è molto pericoloso, specie se sei bella e le cambogiane sono spesso bellissime.

Il Nodo ha la sua scuola di fronte al villaggio dei Trokun ed è da lì che provengono le ragazze che frequentano il corso. Il Governo sta promuovendo la registrazione delle nascite, ma un bambino su 4 sotto ai 5 anni ancora non ha il certificato di nascita. Negli strati più indigenti della popolazione quasi nessuna famiglia registra i propri figli all’anagrafe perché non è nella loro mentalità e perché ha un costo che molte famiglie non possono e non vogliono sostenere. Non registrare all’anagrafe i bambini che nascono significa non dare loro accesso ai più basilari diritti umani: identità, sanità, istruzione. Molti di questi bambini o meglio, per la maggior parte, le bambine, sono costrette a lavorare nei campi, a lavorare in città, presso karaoke, bar o centri massaggi per aiutare le loro famiglie non riuscendo così a frequentare una scuola. 

LA SITUAZIONE DELLE DONNE E DELLE BAMBINE IN CAMBOGIA

Ma parliamo un po’ di numeri relativamente a questa situazione.

Dopo la crisi globale del 2008 molti paesi in fase di sviluppo, come la Cambogia, hanno avuto gravi problemi economici, perdendo molti posti di lavoro. Le prime a finire per strada sono state le donne, molte delle quali per garantire cibo a sé e ai propri figli sono finite in bordelli, sala da karaoke bar o centri massaggi di dubbia reputazione. Sebbene sia difficile quantificare il fenomeno, si stima che nel sud-est asiatico ogni anno spariscano ben più di 2 milioni e mezzo di donne e bambini (manitese.it). 

LA BOTTEGA DELL’ARTE E’ UN AIUTO CONCRETO

L’associazione onlus “Il Nodo” ben conscia di ciò, insieme ai suoi volontari, si è messa all’opera. Designer, conosciute e affermate, hanno offerto il loro tempo al progetto La Bottega dell’Arte, creando una collezione di “Gioielli Morbidi”. L’associazione, grazie a delle donazioni, è riuscita ad acquistare macchine da cucire e strumenti per il lavoro. Paola Lenti ha generosamente donato il materiale, corde e tessuti dai colori smaglianti, riuscendo a formare una squadra tutta al femminile e dando vita al nuovo progetto “Designing Girls’ Future”.

Ora bisogna pensare al futuro di queste giovani donne in Cambogia, lavorare e produrre oggetti meravigliosi da vendere, per continuare una vita lontano dalla strada e dalla povertà.

La sede principale de Il Nodo Onlus è a Milano e necessità di molti volontari, qualcuno che aiuti a gestire i social, volontari che aiutino nella sistemazione del nuovo sito per permettere loro di crescere e vendere direttamente i prodotti creati in Cambogia, raccogliere donazioni e aiutare a dare dignità a queste giovani ragazze, sviluppando in loco una nuova economia.

Se potete donare un po’ del vostro tempo o del vostro sostegno scrivete a info@ilnodoonlus.it , sarete sicuramente ricontattati.

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Figli di Abramo: Amici per la Pace

Figli di Abramo: Amici per la Pace

Figli di Abramo: Amici per la Pace, una condivisione possibile

 

Mentre USA e Israele escono dall’UNESCO, i Figli di Abramo – Amici per la Pace proseguono la loro azione per una pace globale con un dialogo importante tra persone di ogni religione.

Figli di Abramo – Amici per la Pace nasce come associazione di promozione sociale nel 2010, ma già dal 2006, sotto forma di libera aggregazione di amici era una realtà attiva nello scambio di opinioni, esperienze e nel confronto tra persone di religioni diverse.

Negli anni, il nucleo iniziale composto da ebrei, cattolici e musulmani si è aperto ad un più ampio dialogo sui temi dello spirito e della pacifica convivenza, trasformandosi in un luogo di incontro in cui trovano spazio e voce le istanze di chi crede e di chi si interroga sulla fede.

Figli di Abramo – Amici per la Pace è oggi un’associazione multireligiosa e multiculturale fortemente orientata al valore della persona, alla comprensione delle sue aspirazioni e delle sue necessità. Promuove quindi iniziative che possano favorire la reciproca conoscenza, da cui scaturiscono rispetto e attenzione vicendevoli, considerando il valore dell’amicizia come possibile bene comune. Opera spesso in sinergia in una rete di associazioni con cui condivide obiettivi e metodologie.

Conferenze, seminari, visite guidate a luoghi di interesse specifico fanno parte, insieme a proiezioni di film, delle attività di formazione svolte annualmente, inoltre è costante il sostegno ad associazioni che lavorano in Italia e all’estero nel campo dei diritti umani, attraverso l’organizzazione di concerti ed eventi. Ormai da qualche anno Figli di Abramo – Amici per la Pace collabora con la rivista Confronti nella realizzazione dei progetti Fiori di Pace e Semi di Pace.

Un’opportunità di dialogo fra le persone che nella loro vita appartengono a religioni diverse spostando in questo modo un discorso prettamente religioso in un’occasione di amicizia. Partendo dal presupposto che l’esperienza spirituale, cioè il credere in Dio, è fondamentale, l’Associazione nasce, quando dopo l’11 settembre si cominciava a parlare di guerre di religione. “E questa ci è sembrata un’affermazione contraddittoria perché chi crede in Dio non può impostare i rapporti con gli altri se non nella ricerca della pace in quanto riconosce che tutti quanti proveniamo da Dio”, dice Laura Onesti.

Nell’Associazione si approfondiscono tematiche anche di carattere religioso, è vero, ma la direzione è sempre quella di riportare il rapporto di ognuno con Dio. I membri non sono teologi o studiosi ma persone comuni spinte dal desiderio della condivisione cercando di evitare il pericolo di estremismi ed intolleranze che, oggi, sono in gran parte determinate dall’ignoranza delle Sacre Scritture.

Negli anni si sono anche aperti al buddismo e nello statuto si legge di questa apertura a tutte le forme di religiosità. Il che non porta ad un sincretismo religioso ma sempre all’approfondimento della propria esperienza religiosa.

Così i Figli di Abramo – Amici per la Pace danno voce e fiducia ad un mondo possibile, globale, dove ognuno sia una ricchezza per l’altro.

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Famiglie LGBTQI

Famiglie LGBTQI #contiamoci!

Famiglie LGBTQI

 

Famiglie LGBTQI: La prima raccolta dati sulle famiglie LGBTQI in Italia online dallo scorso 13 luglio.

Quante famiglie LGBTQI, cioè quelle famiglie composte da persone lesbiche, gay, trans, queer, intersex, vivono oggi nel nostro paese? Quante di queste hanno figli, convivono insieme da anni senza che risulti ufficialmente in alcun registro pubblico? Quante di queste sono sposate all’estero o stanno aspettando di potersi unire civilmente in Italia?

Al fine di scattare la prima fotografia più rappresentativa possibile del presente, l’associazione Centro Risorse LGBTI, in collaborazione con Famiglie Arcobaleno e Rete Genitori Rainbow, ha lanciato la prima raccolta dati sulle famiglie LGBTQI, nell’ambito del progetto Rainbow Families finanziato da ILGA Europe.

Per partecipare è sufficiente compilare il questionario consultabile all’indirizzo http://datacollection.risorselgbti.eu/famiglielgbtqi/, accompagnato da un video promozionale, realizzato grazie alla partecipazione diretta di alcune famiglie LGBTQI sparse per il territorio italiano.

I/Le protagonisti/e del video, Roberta, Chiara, Emma e Giada; Marco e Andrea; Laurella; Fabrizio e Lavinia; Valentina e Valentina; Michele e Gianluca sono solo alcuni degli esempi di ciò che l’indagine vuole mettere a fuoco.

Famiglie LGBTQI

Chi sono i destinatari della raccolta dati? I/le componenti di relazioni stabili composte da persone LGBTI con un/a o più partner, single e coppie con figli/e.

Il claim del progetto, #contiamoci!, ha tre livelli di significato: contiamoci per sapere quante famiglie siamo; contiamoci per raccontare la nostra famiglia; contiamoci per rivendicare i nostri diritti.

Sulla base dei dati raccolti il Centro Risorse LGBTI produrrà un report finale, che sarà presentato alle istituzioni locali e nazionali e verrà utilizzato dalle associazioni partner, nell’ambito delle proprie azioni di advocacy.

Avere una base di dati è essenziale per dare una dimensione alle diverse realtà sociali che rivendicano un proprio ruolo all’interno della società. Rivendicazioni che non possono più essere messi da parte, accantonati, rinviati in nome di una politica che considera secondari quelli che ormai vengono annoverati tra i diritti umani da gran parte delle società occidentali.

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fonte: pagina Facebook del Centro Risorse LGBTI

Femminicidio: l’altra faccia del caso

Femminicidio: l’altra faccia del caso

Bambini orfani di femminicidio senza diritti

Dal 2000 al 2013 sono stati millecinquecento i bambini orfani di femminicidio, dato stimato dal Dipartimento di psicologia dell’Università di Napoli rilevato durante il progetto europeo Switch-off.

Negli ultimi dieci anni sono 1.628, di cui 417 nel corso degli ultimi 3 anni. 52 sono stati testimoni dell’omicidio della madre da parte del padre, ben 18 figli sono stati uccisi insieme con la madre.
Anna Costanzo Baldry nel corso del progetto Switch-off ha intervistato 143 bambini orfani di femminicidio. Dati e numeri spaventosi, che rende il fenomeno del femminicidio ancora più macabro di quanto già non sia naturalmente. Un aspetto spesso sconosciuto e sottovalutato dai media quello dei figli delle donne uccise, che restano orfani di una madre uccisa dall’uomo che avrebbe dovuto proteggere entrambi dal grigiore e dalla violenza del mondo.
Approfondiamo insieme il progetto Switch-off.

Switch-off

Il gruppo di professionisti che ha elaborato i dati comprende otto persone, tra le quali la coordinatrice Anna Costanza Baldry, ed è sostenuto dalla Associazione nazionale donne in Rete Dire che vede 65 centri antiviolenza in tutta Italia. I dati raccolti dagli esperti in merito agli orfani di femminicidio verranno presentati alla Camera durante i prossimi giorni e andranno a contribuire alla creazione di una serie di Linee guida d’intervento che verranno messe a disposizione dei soggetti sociali preposti al trattamento di questo tipo di problematiche.

Servizi sociali, magistrati, insegnanti, associazioni non profit, forze dell’ordine, tutti avranno a disposizione queste linne guida che daranno dei termini comuni per intervenire in caso di orfani di femminicidio, mettendo in atto un protocollo condiviso. Il tutto nell’ottica di comprendere che queste piccole grandi vittime necessitano di attenzione e cure particolari, tutti diritti che spesso le istituzioni negano.

Ad oggi nemmeno il 15% delle vittime inconsapevoli è stato monitorato e seguito attraverso un percorso di psicoterapia. Per quanto concerne, incvece, il sostegno da parte dei servizi sociali, obbligatori in questi casi, molto raramente si protrae nel tempo oltre l’affidamento del minore. I dati dello studio rilevano che questi orfani di femminicidio vengono dimenticati e abbandonati a se stessi e nel migliore dei casi sono i nonni ad occuparsi del difficile periodo di osservazione di un anno dopo il fatto criminoso; il periodo di tempo decisivo secondo quanto stabilito dai manuali di psicologia per evitare che i soggetti decidano di suicidarsi o che diventino esso stessi violenti.

Bambini affidati ai nonni oppure ancora alla famiglia del padre omicida, perché dicono sia giusto non recidere i legami con quella parte di parentela. Nonni comunque devastati dalla perdita di una figlia oppure dal dover riconoscere un mostro nel proprio figlio. Persone anziane, che spesso non sono in grado di elaborare il lutto per sé stessi, figuriamoci per l’orfano di femminicidio.

Orfani di femminicidio

Orfani inconsapevoli

Le vittime di femminicidio inconsapevoli spesso chiedono che fine abbia fatto il padre. Chi non ha assistito all’omicidio, chi non sa cosa sia successo, chiede del padre. Perché il papà non si può cancellare. Spesso si tagliano i rapporti, perché troppo difficili da gestire da parte degli affidatari.

Altre volte le famiglie affidatarie fanno decidere ai figli, una volta maggiorenni, come procedere e quale tipo di rapporto instaurare col padre omicida. Un’infanzia costruita sulle mancanze di affetti, sulle supposizioni, sulle indecisioni.

Le ferite che restano, più che psicopatologiche sono ferite di vergogna. Molti di loro si sentono diversi dagli altri e spesso non possono trovare conforto in chi ha vissuto il lutto prima di loro, le nuove persone di riferimento. Spesso i figli maschi vivono poi un senso di colpa per non essere riusciti a proteggere e salvare la loro mamma. Ed è pressoché impossibile far capire che un bambino di 6 anni non può fermare la mano del padre omicida.
Vittime e orfani di femminicidio, orfani due volte: orfani di madre; orfani di padre.

Orfani di femminicidio

Cosa può fare il non profit

E’ necessario, a mio avviso, investire in maniera mirata per sostenere le “seconde” vittime del femminicidio, spettatori casuali di ménage familiari non convenzionali.

Perché, come sostiene la dottoressa Baldry: “Non vorrei sembrare troppo dura, ma viene da pensare che questi ragazzi siano orfani tre volte, perché pure lo Stato li ha abbandonati nel momento in cui ha ignorato le denunce di violenza presentate dalle vittime”.

Le istituzioni, le organizzazioni non profit, i servizi sociali possono essere di aiuto in questo delicato momento della vita di queste vittime. Il mondo associativo deve adottare le linee guida che verranno emesse e attuare un protocollo comune e condiviso che possa essere realmente di aiuto a questi orfani, le vittime del femminicidio che restano vive ma muoiono dentro se non seguite adeguatamente. Perché il terzo settore è nato per intervenire laddove le Istituzioni non riescono ad agire.

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Numeri Migranti una interessante fotografia della situazione migranti in Italia

Numeri Migranti: Situazione Italia

Numeri Migranti: Situazione Italia

 

NUMERI MIGRANTI:

Numeri Migranti: una interessante fotografia della situazione migranti in Italia.

Numerosi migranti arrivano nella città dei due mari, aumentando di giorno in giorno moltiplicandosi con  gli arrivati degli scorsi anni.

Al molo Bengasi del porto di Vibo Valentia, dalla nave “Hamal Napoli”  scendono sulla terra ferma altri 250 disperati.

Durante lo sbarco a  Taranto, arrivano dai settecento  agli oltre mille clandestini.

Nella notte, al  Porto Canale di Cagliari, la nave militare spagnola Canarias, ha fatto sbarcare 643 migranti, specialmente uomini che erano stati soccorsi al largo delle coste libiche.

Sulle coste italiane, sono già sbarcati oltre 50.041 clandestini.

I dati del Viminale confermano che è la Lombardia attualmente ad accogliere il maggior numero di migranti (13%), seguita da Lazio (9%), Campania (9%), Piemonte (8%), Veneto (8%), Emilia Romagna (7%), Toscana (7%), Puglia (7%) e Sicilia (7%).

Altri dati oggettivi, mostrano che al momento dello sbarco, il Paese di cui è originario il maggior numero di migranti è la Nigeria (6.516), davanti a Bangladesh (5.650), Guinea (4.712), Costa d’Avorio (4.474), Gambia (3.326), Senegal (3.069), Marocco (3.055), Mali (2.240), Pakistan (1.662) e Sudan (1.395).

A partire dal mese di  gennaio 2017  fino al mese di  maggio 2017 i minori stranieri non accompagnati sbarcati sono stati 6.242.

Ne sono arrivati via mare altri 24.515 migranti, di cui 11.075 nel solo mese di marzo, facendo registrare un aumento del 29% rispetto al 2016.

In Italia 24.515 migranti, in Grecia sono arrivati via mare circa 3.370 migranti, circa 8.000 persone sono bloccate in Serbia, circa 1.000 migranti sono sbarcati in Spagna, in Austria e Svezia si registrano circa 2.000 arrivi ogni mese e in Germania circa 14.000 arrivi al mese.

 

ARRIVI E CENTRI D’ACCOGLIENZA PER MIGRANTI:

In Italia nel 2016 i migranti arrivano di più dalla Libia ed il 7% dall’Egitto.

Sempre nel 2016, le principali nazionalità dei migranti arrivati in Italia  erano per lo più nigeriani ed eritrei.

Da gennaio 2017 i minori in Italia non accompagnati ammontano a 2.290 .

Secondo la Commissione Nazionale italiana per il Diritto d’Asilo, le richieste nei primi tre mesi del 2017 sono aumentate del 60% rispetto al 2016.

Dal 2017 le domande d’asilo sono aumentate di  16.360  e sono state esaminate dalle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale: il 9% dei richiedenti asilo ha ottenuto protezione internazionale, il 9% protezione accessoria, il 23% protezione umanitaria, il 54% delle domande è stato respinto.

Altre 119.460 domande devono ancora essere esaminate dalle Commissioni Territoriali.

Il 14 marzo 2017 il Viminale ha approvato l’apertura di due centri di accoglienza per 400 richiedenti asilo nei pressi di Roma .

L’Agenzia Ue per i Diritti fondamentali segnala la difficoltà di  minori non accompagnati provvisoriamente sistemati a Como.

Il Centro di Como, accoglie dalle 300 alle 400 persone  migranti, con minori e adulti mischiati tra loro senza vincoli familiari.

 

 

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d’Agome Kpodzi Istruzione e pari opportunità per tutti i bambini

D’Agome Kpodzi: Una Scuola

D’Agome Kpodzi: Una Scuola

D’Agome Kpodzi: Istruzione e pari opportunità per tutti i bambini

D’Agome Kpodzi: Nel piccolo villaggio di d’Agome Kpodzi, nel distretto di Kpalimè a 120km dalla capitale togolese Lomè, la scuola non è per tutti i bambini.

La richiesta di istruzione cresce ogni giorno, e non tutti i bambini riescono ad avervi accesso.

La piccola scuola pubblica del villaggio è composta da un agglomerato di 6 capanne di paglia e fango, senza luce ed acqua corrente, dove una classe con 20 banchi viene stipata fino a contenere 40/50 bambini che studiano e scrivono in condizioni difficili.

L’unica altra alternativa di istruzione che si trova nei dintorni è una scuola privata, che richiede il pagamento di una retta e l’acquisto di materiali scolastici, condizione impossibile per la popolazione estremamente povera di d’Agome Kpodzi che vive esclusivamente di agricoltura.

L’impegno delle associazioni

L’associazione Vite Intorno Onlus nata a Milano e composta esclusivamente da volontari, che attraverso aiuti immediati, assistenza e sostegno, aiuta a migliorare le condizioni di vita di bambini e famiglie che vivono nella povertà, sia in Italia che all’estero.

Da qui nasce il progetto “ una scuola per i bambini d’Agome Kpodzi ”, che raccogliendo l’esigenza delle famiglie del villaggio, di veder istruiti i propri figli ha previsto la costruzione (suddivisa nell’arco di due anni) di 6 classi aggiuntive, alla piccola scuola pubblica presente nel villaggio, dotata di elettricità e toilette con acqua (ad oggi inesistenti).

L’associazione in accordo con il governo togolese ha cosi dato il via alla ricerca di fondi per il finanziamento dell’impresa. Al progetto umanitario, che dovrebbe concludersi nel 2020, prenderanno parte volontari e coordinatori che si occuperanno inoltre della divulgazione dell’opera tramite campagne, raccolte fondi, donazioni ma anche adozioni a distanza.

D’Agome Kpodzi

Il progetto

A oggi sono stati raccolti oltre 30.000 euro che serviranno a finanziare la prima parte del progetto che coprirà la costruzione delle prime tre aule aggiuntive e che si concluderà nell’arco di un anno.

La seconda parte del progetto nel dettaglio prevede:

. costruzione di un nuovo edificio che conterrà 3 nuove classi.

. attrezzature e componenti di arredo.

. materiale scolastico.

Questa fase del progetto, al momento, attende ancora il raggiungimento del budget previsto (30.000 euro)

Questo ulteriore ampliamento, consentirà anche alle famiglie più povere di poter dare un’istruzione ai propri figli, nonché di aumentare le assunzioni e i servizi (corrente ed acqua) che saranno utilizzabili dall’intero villaggio, favorendo cosi anche l’economia generale del paese.

La progettazione del nuovo edificio è stata affidata ai volontari dello studio di architettura Yuman di Milano che insieme all’associazione Vite Intorno Onlus hanno iniziato i lavori in loco su terreno donato dal governo togolese.

Per ulteriori informazioni sui lavori in corso di svolgimento potete consultare il link del progetto.

È possibile contribuire al raggiungimento della quota andando sul sito di Vite Intorno Onlus tramite RID, bonifico bancario, o unendosi alla squadra di volontari richiedendo il modulo di adesione all’indirizzo email viteintorno@gmail.com, perché l’istruzione e la scuola sono un bene pubblico al quale ogni bambino dovrebbe avere diritto, a d’Agome Kpodzicome in tutto il mondo.

 

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Disoccupazione: Come Affrontarla?

Disoccupazione: Come Affrontarla?

Disoccupazione: Come Affrontarla?

 

 

Disoccupazione

1.La Disoccupazione

Cari lettori,  scrivo di come poter affrontare la Disoccupazione che si vive  quotidianamente e di cui si sente sempre parlare nei media e sui giornali.  Da inattivi a socialmente utili  per se stessi e  per gli  altri.

Essere inattivi, disoccupati, in alcuni casi, per alcuni individui porta sconforto,  rischiando di compromettere la voglia  di reazione  al problema.

Ma vorrei, soffermarmi su alcuni  aspetti e trarre alcuni suggerimenti e vantaggi, di come poter acquisire stabilità e sicurezza in se stessi.  

E’ inaccettabile che un giovane su tre non abbia un posto fisso, sapendo che  il lavoro dovrebbe essere un diritto di  tutti.

Quella determinazione  che emerge ogni volta che si va ad un colloquio  spesso accompagnata dall’impossibilità di non fare nulla al termine, perché si riduce tutto  alla solita frase  di circostanza “ le faremo sapere”,  porta instabilità,  come se  non ci fosse un domani sicuro, spesso governata da quel senso di illusione di un’aspettativa  non concretizzata.

Ma, è proprio in quel momento che non ci si deve scoraggiare.

  1. Reazione, Stabilità, Determinazione e Sicurezza:

Si, è proprio la crisi  che dura da oltre cinque anni, ad aver affondato molte persone, ognuno sperava che il problema si risolvesse con l’arrivo di nuovi governi, ma nulla è cambiato.

Tassi, altissimi di disoccupazione mettono in ginocchio le generazioni  attuali e le precedenti senza respiro !

Siamo pesci che nuotano in acqua stagnata da anni, dove il sipario della vita, non fa che travolgerci, nell’inquietudine di  sempre, in cerca di stabilità,  serenità e sopravvivenza.

Reazione, determinazione, sicurezza e stabilità sono le parole chiave che faranno da capostipite e ci  dovranno sicuramente accompagnare in questo percorso, per  affrontare l’inattività e la disoccupazione .

Reazione è qualcosa che ci dà un motivo per non essere inattivi, non smettere mai di cercare il meglio, partecipare a progetti di volontariato nel proprio paese, fare una ricerca accurata su come  affinare le conoscenze acquisite durante il percorso scolastico.

Avrete sicuramente, già sentito parlare di corsi MOOC,  in cui  spesso  è riconosciuta una certificazione gratuita, sono aperti a tutti i diplomati e laureati, alcune di queste  piattaforme sul web sono Eduoopen e Alison ma ce ne sono tante altre ancora.

Si tratta di open source, in cui è possibile seguire vari corsi  di  tematiche differenti  che spaziano dalla letteratura, alla scienza, oppure  dalle discipline linguistiche alla storia, dal design all’arte, dall’economia alla sociologia.

Credo che  in un momento così difficile, oltre che a  leggere libri, ascoltare musica e fare attività che più ci aggradano, sia fondamentale non interrompere il proprio percorso di formazione in una materia che ci soddisfa.

Spesso alla fine di un percorso online, ci si sente appagati, più determinati ed il pensiero di arrivare a fine mese, che è già un peso,  viene “ammortizzato”,  perché  il sapere è sempre un valore aggiunto ai nostri pensieri e a molte cose che non vanno.

Esistono altri tipi di corsi, molto utili per le persone che  vorrebbero iniziare a  intraprendere un attività in proprio, con determinazione e  coraggio, questi corsi MOOC sono dedicati  agli under 30, e riguardano il marketing digitale, tramite la piattaforma  Google di eccellenze in digitale  del progetto “ crescere in digitale” in partnership con garanzia giovani .

Un’altra piattaforma valida è Lacerba.Io ove è possibile seguire corsi nel settore del web digital .

Esiste inoltre un’università online University Of The people, con benefit finanziari  che  potrebbe essere un’opportunità   maggiore per entrare  nel mondo del lavoro.

La sicurezza in un individuo cambia in base al contesto, alle situazioni, al comportamento che si ha  nei confronti di un evento, di qualcosa di personale.

Partendo dal presupposto che spesso chi è disoccupato  non vive come vorrebbe, ma con  insicurezza, diventa necessario trovare attività che lo rendino più sicuro.  Le passioni sono l’unica forza, un valore inestimabile che un individuo può esprimere per raggiungere quello che non sempre possiede.

Socializzare, non cadere nella depressione, dialogare con le persone giuste.

A volte la disoccupazione, può trasformarsi, in un ossessione,  si spendono ore ad inviare curriculum   offline/online, a volte senza alcun risultato.

Si ha l’impressione di essere invisibili,  inosservati e sfruttando le opportunità del web, strumento  in continua evoluzione, è possibile far emergere il proprio estro interiore  seguendo passioni e sogni, che non è possibile fare emergere nel campo lavorativo.

E nonostante  questa  vita da disoccupato condotta tra dispiaceri e instabilità  è possibile trarre  anche alcuni risultati positivi,  perché diventa un momento per pensare a cosa e a chi vorremo poter  essere in questa società.

 

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