RISTORANTE E LAVORO

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Il Lavoro nel “ Ristorante Dell’Ordine Perduto ” :

Qualsiasi persona normalmente entra in un ristorante, si accomoda, ordina e consuma. Ciò che per la maggior parte delle persone rappresenta un’abitudine quotidiana e scontata, per altri può diventare una vera e propria sfida da vincere contro se stessi e contro le conseguenze dell’età. Specialmente quando si è dall’altra parte del ristorante, dalla parte dei  dipendenti e non del cliente.

Così a Tokyo ha recentemente aperto le porte, dopo una prima fase di startup un ristorante che ha fatto dell’inclusione una vera e propria mission aziendale.

Così tanto, da poter accogliere nel suo personale dipendenti e camerieri con la sindrome di Alzheimer.

Al “Ristorante dell’Ordine Perduto”, il servizio potrebbe non essere preciso perché capiterà spesso che molti piatti arrivino in ritardo o che non arrivino affatto. Ma ciò che resterà impresso e che farà sorridere è la sensazione di aver potuto contribuire alla felicità dei dipendenti solo sedendosi a tavola e ordinando da mangiare.

Secondo l’Adi nel 2015, ci sono stati oltre 9.9 milioni di nuovi casi di demenza all’anno, ovvero un nuovo caso ogni 3.2 secondi.

Invece, in Italia, i casi sono circa 600 mila e a causa dell’invecchiamento della popolazione sono destinati ad aumentare. Ed è una ricerca del Censis con l’Aima (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), ad affermare che i costi diretti dell’assistenza sono quasi interamente a carico delle famiglie (73%).

Infine a Tokyo il progetto che si è sviluppato intorno al Ristorante dell’Ordine Perduto dimostra che tutti hanno un proprio ruolo nella società e una loro utilità.

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2        Che Cos’è l’ Alzheimer?  Alcuni cenni:

Il morbo di  Alzheimer è la forma più comune di demenza, indica la perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente gravi da interferire con la vita quotidiana.

E’ una malattia progressiva, nella quale i sintomi di demenza peggiorano gradualmente in un certo numero di anni. All’inizio la perdita di memoria è leggera, ma con l’avanzare degli anni le persone perdono la capacità di interagire con il loro ambiente.

Il morbo di Alzheimer, forse non tutti lo sanno, rappresenta la sesta causa di morte negli Stati Uniti !

Chi soffre di questa patologia vive in media otto anni dopo che i sintomi sono diventati acclamati.

Ovviamente il periodo di vita, varia anche dalla condizione di salute della persona.

Le persone affette dalla perdita di memoria o da altri possibili segnali del morbo di Alzheimer possono trovare difficoltà ad ammettere di avere un problema. I segnali di demenza potrebbero risultare più evidenti per i membri della famiglia o gli amici. Chiunque dovesse avvertire sintomi simili a quelli della demenza deve recarsi da un medico il più presto possibile.

Per concludere vorrei esprimere che a volte basterebbe, perciò, avere una buona informazione e soprattutto maggior sensibilità da parte di ogni individuo per cambiare oppure aiutare qualcuno e portare della luce positiva nella vita di una persona attraverso le piccole cose.

E se il nome di quel  locale: il “Ristorante dell’Ordine Perduto” situato a Tokyo risulta un nome poco invitante,  non importa, perché nonostante ciò ha dato la possibilità di lavorare  a molte persone affette dal   morbo di Alzheimer, rendendolo unico nel suo genere in quanto è racchiuso in esso un senso profondo di umiltà  che  merita di essere riconosciuto, stimato, valorizzato e ricordato.

 

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Supernova Torino: Social Innovation Festival

Supernova Torino: Social Innovation Festival

Supernova Torino: Social Innovation Festival

 

 

Torino, capitale italiana dell’innovazione, ha ospitato il Festival Supernova, uno dei primi grandi appuntamenti per parlare di Social Innovation in Italia.

Un evento vincente sin dalla sua apertura ospitata nell’edificio simbolo dell’innovazione a Torino, il Grattacielo Intesa Sanpaolo: prenotazioni esaurite, sala gremita di persone curiose di scoprire le declinazioni concrete di questa “esplosione stellare”.

Supernova Torino: Social Innovation Festival

Qual è l’impatto di tecnologia, innovazione e creatività sull’ambiente? Questo il tema attorno a cui ruotava il festival. Tanti i punti di vista offerti, diverse le esperienze raccontate, molti gli spunti e le nuove domande su cui continuare a riflettere.

Vero palcoscenico della manifestazione nelle giornate di sabato e domenica è stato piazza Carlo Alberto, che ha abbracciato e accolto chi era lì per raccontare, chi era arrivato per ascoltare o per partecipare, ma anche chi aveva qualcosa da proporre e chi si è fortunatamente trovato a passeggiare per le vie del centro.

Cosa si è trovato e di cosa si è parlato?

Il festival è stato occasione per mettere letteralmente in piazza le esperienze degli attori dell’innovazione e le questioni salienti: startup, circular economy, energia e sostenibilità, Social Innovation, digital economy, crowdfunding, virtual reality e smart building. E ancora: programmazione, innovazione aerospaziale, biotech, big data. Presenti anche le innovatrici e gli innovatori per la scuola, per la musica e per il teatro. Non soltanto questo.

Il festival voleva essere di più:

un evento pensato espressamente per far nascere sinergie e contaminazioni mettendo a confronto e in contatto i protagonisti dell’innovazione, le aziende e le persone”.

Ci è riuscito?

Impressioni di una partecipante

Sono state tante le cose scoperte e imparate e gli appunti presi durante le conferenze.

A questo si aggiungano le altre esperienze positive: chiunque si sia trovato a passare per la piazza nella giornata di sabato ha avuto modo di lasciare la propria impronta e il proprio messaggio sulla lunga striscia di carta posizionata in lungo e in largo sul ciottolato della piazza.

Ancora più coinvolgente il momento di incontro gestito da Fondazione Human+ per Torino Strategica e il suo progetto Torino Startup, durante il quale i partecipanti sono stati invitati a scrivere su un post-it colorato la propria proposta su cosa potrebbe servire a Torino per diventare “Città aperta e attrattiva”.

Torino Startup Supernova 2016 - Social Innovation

L’aspetto più interessante e divertente del festival è stato ciò che ha permesso ai partecipanti di tutte le età di diventare parte attiva dell’evento, chiedendo, proponendo e sperimentando: workshop, brainstorming, attività di mentoring. Un’interessante opportunità di networking non solo per gli esperti.

WorkshopTAG - Social Innovation

C’è stato spazio anche per i curiosi avvicinatisi per caso: attrattiva la possibilità di provare prodotti ed esperienze innovative di gioco, musica o sport.

Torino Startup Supernova 2016 - Social Innovation

FOTO di: SUPERNOVA 2016

Quindi le impressioni di una partecipante sono quelle di aver vissuto un weekend di energia positiva e di aria di cambiamento e aver capito e confermato che Torino è in fermento e si sta muovendo in avanti, accogliendo e stimolando chi vuole provarci.

Complimenti a Talent Garden per l’organizzazione del Festival e per aver centrato l’obiettivo.

E ora?

Quando un altro evento simile in Città? O forse la domanda migliore è: come e dove creare un’occasione continua di incontro, proposta e nascita di idee per chi cerca sinergie? E come raggiungere chi è fuori da questa community, ma vorrebbe o dovrebbe iniziare ad essere contaminato?

Nel frattempo aspettiamo la prossima edizione di Supernova.

 

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StartUp e Capitale Umano

StartUp e Capitale Umano: imprenditori si nasce o si diventa?

StartUp e Capitale Umano. Nessuno sa rispondere con certezza, eppure sarà capitato a tutti di poter mettere la mano sul fuoco sulla futura carriera imprenditoriale di un amico e sulla probabilità di vederlo presto diventare CEO di una Startup

StartUp e Capitale Umano

StartUp e Capitale Umano: Ma cosa ci spinge a tali considerazioni? E soprattutto come capire se si hanno le carte in regola da giocare per fondare una startup, laddove siano già chiari idea, prodotto e modello di business?

StartUp e Capitale Umano: Negli ultimi anni sempre di più si sente parlare di sviluppo dell’imprenditorialità: la questione è al centro delle politiche europee e nazionali, per favorire la crescita economica e l’occupazione. Tra le altre misure basti pensare al COSME, il programma europeo 2014-2020 per la competitività delle piccole e medie imprese e agli interventi del Ministero dello Sviluppo Economico in favore delle StartUp e delle PMI innovative. In ragione di ciò sono sempre più numerose le singole iniziative per far emergere lo spirito imprenditoriale già a partire dai banchi di scuola.

Iniziative, sensibilizzazione, opportunità unite a prospettive di lavoro poco certe hanno comportato una crescita della propensione dei giovani a provare a fare impresa.

StartUp e Capitale Umano La Fondazione Human +

La Fondazione Human+ è una realtà non profit che pone al centro di ogni sua attività la valorizzazione del capitale umano. Essa collabora con enti, istituzioni, università e associazioni e promuove l’innovazione nei contesti di lavoro più vari con diverse iniziative.

Tra queste spicca un progetto di ricerca realizzato per supportare la nascita e la crescita di startup e che ha portato allo sviluppo di ST.E.P.S.

StartUp e Capitale Umano Cos’è ST.E.P.S.?

Dietro l’acronimo si cela prima di tutto un questionario, lo startuppers and Entrepreneurs Potential Survey, oltre che una metodologia e una piattaforma.

Frutto di una ricerca durata due anni in collaborazione con il Politecnico di Torino e il Dipartimento di Psicologia  permette di analizzare il potenziale imprenditoriale di un individuo in base a fattori personali e sociali, raggruppabili in quattro dimensioni:

  • Caratteristiche di personalità
  • Motivazioni
  • Competenze

Startup - ST.E.P.S.

Workshop sulle competenze trasversali

Ormai più di 3000 persone hanno compilato il questionario, tra i quali 247 startupper o aspiranti tali. Bastano 30 minuti per completarlo e si ottiene in cambio un report individuale.

StartUp e Capitale Umano Imprenditori si nasce o si diventa?

Fondazione Human+ comunica con ogni sua attività le enormi potenzialità di una valorizzazione del capitale umano e tramite ST.E.P.S ricorda che la maggior parte dei fattori determinanti può essere migliorata tramite consapevolezza, volontà ed esercizio.

Per approfondimenti si consiglia la consultazione dell’intervista ad Alessandro Mercuri, di Fondazione Human+, effettuata da Valentina Ferrero e pubblicata da DiariodelWeb.

 

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SENSO CIVICO: 50% RISPARMIO SULL'IMPOSTE

Senso Civico: 50% RISPARMIO IMPOSTE

SENSO CIVICO: 50% RISPARMIO SULL’IMPOSTE

 

Senso Civico

Senso Civico: Con i suoi circa 7 milioni di volontari l’Italia è uno dei paesi europei con il più alto ‘tasso’ di volontariato. Ogni anno impiegano al servizio del bene comune circa723 milioni di ore, pari al lavoro che svolgerebbero circa 400 mila individui a tempo pieno. Come ci spiega l’ultimo rapporto ISTAT  sulle organizzazioni non profit, la maggioranza dei volontari, circa 4 milioni, opera per una o più associazioni. Quello italiano, infatti, è un volontariato molto organizzato su base associativa: nel nostro Paese si contano ben 45 mila associazioni, oltre il 32% impegnato in attività nel settore sociale, sanitario e di protezione civile.

 

Senso Civico

A differenza di altri Paesi, come Germania e Gran Bretagna, in Italia è ancora poco sviluppato (e sostenuto) il volontariato civico, urbano o municipale ovvero quel volontariato promosso soprattutto da municipalità ed enti locali che permette a un cittadino di svolgere, in modo gratuito e volontario, attività di pubblica utilità e di cura della città. Tuttavia negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, vuoi per la crisi economica che attanaglia gli enti locali, vuoi perché si va sempre più diffondendo una cultura della cittadinanza attiva e responsabile.

Senso Civico: Sintomi di questo mutamento sono, ad esempio, i movimenti spontanei di cittadini che si mobilitano contro il degrado urbano: soffermandosi su esperienze strutturate, che nascono soprattutto per volontà dell’ente locale e per effetto di precise scelte di politica urbana. Grazie anche a leggi ad hoc regionali e nazionali, sono, infatti, in aumento i Comuni che offrono ai cittadini la possibilità di partecipare in prima persona alla cura dei beni comuni, alla riqualificazione di aree della città, allo sviluppo del decoro urbano.

 

Senso Civico: Sappiamo bene che dentro e fuori il mondo del volontariato ‘organizzato’ non manca chi guarda a questo fenomeno con perplessità e diffidenza. In realtà, crediamo che coinvolgere i cittadini in attività di pubblica utilità contribuisca a migliorare la vita di tutti, abitanti e amministratori locali.

Perché più è partecipata la cura e la gestione degli spazi pubblici, più si diffonde il senso civico e cultura della responsabilità.

 

Ma in che modo e attraverso quali forme i comuni possono attivare iniziative di volontariato civico? Ecco le tipologie più diffuse:

  • Albi comunali dei volontari civici;
  • Amministrazione condivisa;
  • Baratto amministrativo;
  • Convenzioni ad hoc tra ente locale e associazioni del territorio.

 

L’esempio forse più ‘antico’ di volontariato civico è quello dei cosiddetti “nonni civici”. A partire soprattutto dagli anni Novanta, alcuni Comuni hanno cominciato a coinvolgere anziani e pensionati in attività di volontariato civico in collaborazione con la polizia municipale e operatori comunali. Grazie a convenzioni con le associazioni di volontariato o a bandi pubblici, i Comuni ‘reclutano’ cittadini anziani o pensionati che con le loro pettorine colorate svolgono varie attività di volontariato, come pulire le aree verdi, vigilare nei pressi delle scuole per permettere ai bambini di entrare e uscire da scuola in tutta sicurezza oppure svolgere servizi d’ordine in occasione di eventi e manifestazioni sportive.

 

In molte città stanno fiorendo Albi comunali dei volontari civici che prevedono, secondo un regolamento, l’iscrizione dei cittadini disponibili a svolgere attività di pubblica utilità e per il decoro urbano. Ai cittadini, organizzati per aree o gruppi di intervento, il Comune fornisce copertura assicurativa, tesserini e pettorine di riconoscimento, strumenti di lavoro e se necessario anche formazione adeguata.

 

Molti Comuni Italiani hanno adottato la pratica dell’amministrazione condivisa o, per meglio dire il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani”. Si tratta di un’esperienza molto innovativa che offre ad amministrazioni locali e cittadini i lineamenti essenziali di un modo di partecipare alla cura della città “che supera la casualità del volontariato individuale e diventa metodo”. Grazie al Regolamento, infatti, i Comuni possono attivare sul territorio un vero e proprio “patto di cittadinanza” per amministrare in modo condiviso i beni comuni della città.

 

Un altro strumento innovativo che si sta sviluppando proprio in questi ultimi anni è il “baratto amministrativo”, introdotto nel 2014 con il decreto legge n.133 (“Sblocca Italia”). Questa particolare forma di impegno civico prevede riduzioni o esenzioni dal pagamento delle tasse comunali per i cittadini attivi nella riqualificazione degli spazi in cui vivono. Il primo ad inaugurare questa pratica è stato il Comune di Massarosa, in provincia di Lucca, che ha varato il “Regolamento per l’istituzione e la gestione del Servizio Volontario Civico” e quindi pubblicato un bando che offriva uno sconto del 50% sull’imposta dei rifiuti in cambio di alcune attività di pubblica utilità: taglio dell’erba nei giardini pubblici, imbiancatura di aule scolastiche, attività di pre-scuola e sorveglianza all’entrata e all’uscita delle scuole, piccoli lavori di falegnameria e manutenzione dei cigli delle strade. L’iniziativa ha conseguito un grande successo: oltre 100 cittadini e 10 associazioni si sono proposte e altri Comuni hanno chiesto di conoscere e replicare l’esperienza, tanto che a Massarosa (nel seguire la corrente filosofica della Social Innovation) si svolgerà il primo convegno nazionale sul baratto amministrativo.

 

In alcune città esistono, infine, gruppi, associazioni o enti non profit nati proprio per coinvolgere i cittadini in attività di riqualificazione e decoro urbano. I più antichi sono senz’altro i gruppi di Guerrillia Gardening che, nati negli Usa a metà degli anni Settanta all’interno dell’attivismo ambientalista, promuovono anche nel nostro Paese “incursioni” contro il degrado urbano e l’incuria delle aree verdi.

 

Più recentemente a Roma si è sviluppato il movimento Retake. Formalmente sono associazioni ma nella pratica assomigliano più ai Guerrillia Gardening: organizzati in gruppi divisi per quartiere, si attivano periodicamente per i cosiddetti “clean up”, azioni collettive per ripristinare la bellezza originaria di una piazza o di una strada oggetto del “retake”. Parte del retake è anche lo speak up, in altre parole il parlare e lo spiegare ad abitanti e commercianti il fine di questi clean up (risanamento ambientale).

 

Alla pratica dei Guerrillia Gardening si ispira apertamente l’associazione CleaNap di Napoli, fondata da alcuni giovani che vogliono creare azioni dimostrative per migliorare piazze e monumenti del centro storico di Napoli, “ormai lasciati al degrado e all’incuria del tempo, nonché sopraffatti dall’invasione perenne dei rifiuti”. Alla questione rifiuti e pulizia del territorio si dedica anche il movimento Let’s do it! Si tratta di un movimento internazionale nato nel 2008 in Estonia in occasione di una gigantesca operazione di pulizia del Paese: in un solo giorno 50mila persone, in sole cinque ore, liberarono strade, città e foreste da 10mila tonnellate di rifiuti illegali. Ad oggi l’associazione è presente in 96 paesi, tra cui l’Italia, dove ha organizzato una pulizia di massa delle coste e delle spiagge campane e sarde coinvolgendo 12mila volontari provenienti da tutta Europa.

 

Altra esperienza interessante è quella fiorentina. A Firenze sono attivi i volontari della Fondazione Angeli del Bello. Si tratta di una fondazione di partecipazione nata su iniziativa di Quadrifoglio Spa, l’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti, e dell’associazione Partners Palazzo Strozzi. A oggi la fondazione può contare sull’impegno di 1500 volontari che più volte la settimana e in diversi gruppi di intervento portano avanti progetti e azioni di volontariato urbano, come la rimozione di scritte vandaliche dai muri dei palazzi fiorentini e la pulizia di giardini e spazi di verde pubblico. Alle attività possono partecipare sia cittadini sia associazioni, l’importante è raggiungere lo scopo: migliorare il decoro e la bellezza di Firenze.

 

Per concludere questa panoramica sul volontariato civico e municipale, desidereremmo accennare ad un’esperienza che sta maturando in alcune regioni, in particolare in Toscana. Qui, infatti, Comuni come quelli di Scandicci e Sesto Fiorentino, in collaborazione con le associazioni del territorio, hanno coinvolto gruppi di rifugiati e richiedenti asilo in attività di pubblica attività.

 

Ospiti sul territorio toscano in appartamenti e piccole strutture gestite da enti del terzo settore (la cosiddetta “accoglienza diffusa”), i migranti possono attendere anche un anno prima che le richieste di asilo siano esaminate e in questo periodo non possono svolgere nessun lavoro retribuito. Ecco che allora lo scorso maggio la Regione Toscana, in accordo con prefetture ed enti locali, ha pensato di costituire un fondo a copertura delle spese assicurative per quei Comuni che intendono coinvolgere rifugiati e richiedenti asilo in attività gratuite e volontarie di pubblica utilità.

 

Ad oggi sono oltre una decina, le amministrazioni comunali che hanno aderito all’iniziativa stipulando convenzioni ad hoc con le associazioni locali. I migranti, oltre a partecipare a corsi di lingua e varie attività promosse dalle associazioni di volontariato, svolgono alcune ore di volontariato occupandosi di piccole opere di riqualificazione urbana. L’esempio forse più eclatante di questa forma di volontariato civico si è avuta a Firenze in occasione dell’ondata di maltempo che ha distrutto un’importante area verde della città. Qui due gruppi di profughi hanno lavorato a gomito a gomito con i volontari della protezione civile per ripristinare la viabilità e alcune aree verdi della città.

 

Al di là di ogni polemica, crediamo si tratti di un’esperienza interessante che meriti di essere conosciuta e sviluppata, a patto però che si rispettino almeno due ‘regole base’. Come tutte le attività di volontariato, è una scelta che i migranti devono prendere consapevolmente e liberamente. Inoltre, se lo scopo principale è offrire opportunità di integrazione e cittadinanza, è senz’altro un’esperienza che i migranti devono poter condividere e svolgere insieme con altri cittadini, perché è il prendersi cura ‘insieme’ del luogo dove si vive, anche solo di passaggio, che crea occasioni di scambio e conoscenza, che ci rende cittadini responsabili non solo della cosa pubblica ma anche e soprattutto l’uno dell’altro.

 

L’innovazione sociale è caratterizzata dalla capacità di rispondere ai bisogni sociali che siamo sempre più in grado di affrontare, la responsabilizzazione dei gruppi e degli individui, e la volontà di cambiare le relazioni sociali.

 

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Sebastiano de Falco

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Biodistretto Valdera dalla Toscana all’Onu Il boom del Biodistretto Valdera Olio, frutta, vino: ecco come funziona “E ora una cittadella con market e laboratori”

Biodistretto Valdera: Ecco come funziona

Biodistretto Valdera dalla Toscana all’Onu

Il boom del Biodistretto Valdera

Olio, frutta, vino: ecco come funziona

“E ora una cittadella con market e laboratori”

 

Biodistretto Valdera: L’esempio virtuoso di un’iniziativa nata poco prima dello scoppio della pandemia finisce al Food Summit in corso a New York. Tutto nasce dall’alleanza tra associazioni, 10 Comuni e due università. Da qui è nato un meccanismo che permette ai consumatori di risparmiare e ai produttori di guadagnare. “L’obiettivo? Essere autosufficienti su tutti i servizi essenziali”. E per il futuro ecco un centro di eccellenza con supermercato bio, centro conferenze, locali per trasformare le proteine vegetali.

Sarà il Biodistretto Valdera a partecipare al food summit 2021 delle Nazioni Unite che si terrà a New York fino al 24 settembre. Selezionato tra oltre 500 progetti arrivati da ogni continente, il biodistretto si è contraddistinto per la promozione di un principio fondamentale: “Il cibo non deve più essere sfruttamento di risorseumane e ambientali, bensì nutrimento, natura, lavoro, visione di comunità, mercati intelligenti. Per sottolineare e rendere concreta questa istanza, serve una nuova idea di filiera agroalimentare, basata sullo sviluppo di reti locali e di comunità resilienti”. Resilienza e senso di comunità sono alla base dell’idea, sviluppata in collaborazione con l’Università di Pisa e di Torino, che ha portato il biodistretto toscano all’attenzione delle Nazioni Unite.

Biodistretto Valdera

Nato all’inizio del 2020, il progetto è cresciuto con numerose iniziative di autofinanziamento, oltre all’apporto delle associazioni e delle amministrazioni locali. “Il Biodistretto Valdera ha disegnato una Rete di Biodistretti capaci di produrre e scambiare esperienze, conoscenze e, soprattutto, mettere a disposizione alimenti capaci di dare conto del loro contenuto nutritivo, sociale e ambientale perché capaci di narrare, misurare e tracciare con specifici indicatori, la produzione di gas serra, il consumo di acqua ed energia, la produzione di rifiuti inquinanti, il contenuto sociale, il contributo al paesaggio, alla biodiversità e alla rigenerazione del suolo” si legge in una nota. E’ proprio questa capacità di fare rete che lo ha reso un modello su scala internazionale, con sessanta soci e il patrocinio di dieci Comuni: Volterra, Lajatico, Peccioli, Terricciola, Chianni, Casciana Terme-Lari, Capannoli, Palaia, Crespina-Lorenzana, Ponsacco, Pontedera.

Il primo biodistretto italiano risale a circa 20 anni fa, nel parco del Cilento, adesso patrimonio Unesco con 400 aziende, mentre all’estero sono Francia e Austria che hanno maggiormente dato vita a esperienze simili. Oggi, quest’ultima racchiude più di venti biodistretti, promuovendo un esempio di sostenibilità e inclusione sociale. “Il biodistretto Valdera, come ogni altro biodistretto, è organizzato secondo i principi di un’associazione che raggruppa numerose aziende della filiera agroalimentare del territorio insieme a organizzazioni no-profit con la collaborazione delle amministrazioni locali”

L’obiettivo è riuscire a raggiungere l’autosufficienza su tutti i servizi essenziali alla vita. La spinta è data dalla voglia di creare comunità mettendo in rete tutti i biodistretti italiani: un baratto di esperienze, conoscenze e prodotti. Nessun alimento deve essere sprecato: è possibile, infatti, scambiare il surplus tra i distretti ognuno dei quali ha una propria produzione ma anche un’esigenza di acquisto.

All’interno del biodistretto toscano 25 operatori biologici riescono a produrre molte tipologie di alimenti: dall’olio ai formaggigrani antichisalumifruttaverduracastagne fino al vino e alla birra. La vendita avviene sia grazie alle piattaforme online, sia localmente, riuscendo a saltare alcuni passaggi della catena di distribuzione e quindi consentendo margini più alti per i produttori e prezzi più accessibili per i consumatori. Il progetto presentato al summit implica un ulteriore sviluppo del processo di distribuzione: “La vendita in loco dei prodotti avverrà in un centro di eccellenza del biodistretto che al suo interno ospiterà: un supermercato bio, un laboratorio di trasformazione delle proteine vegetali, una gastronomia per la preparazioni di questi prodotti e la vendita a filiera corta, un centro conferenze che ospiterà anche un laboratorio permanente di sostenibilità, curato in collaborazione tra le aziende del biodistretto e gli atenei limitrofi di Pisa e Firenze”.

Biodistretto Valdera

La partecipazione al Summit Food è stata resa possibile anche grazie al supporto dell’università di Pisa che, con il dipartimento di scienze economiche rurali, si è interessata al modello-Valdera, insieme al dipartimento di informatica dell’università di Torino. Il lavoro dei biodistretti, dunque, contribuirà a migliorare anche la dieta mediterranea, oltre ai canoni di produzione e all’attenzione per ogni aspetto: dalla gestione delle consegne alla riduzione di sprechi e spostamenti. “I biodistretti hanno dimostrato di essere luoghi che sanno aggregare le forze migliori del territorio, dal basso, con la consapevolezza che solo attraverso il progressivo miglioramento delle pratiche agricole, le economie circolari locali, l’integrità, la trasparenza e applicando tenacemente una collaborazione inclusiva è possibile contemporaneamente alimentarsi correttamente, creare comunità locali fiorenti e salvare il pianeta”. Inoltre, dopo il summit di settembre, un ulteriore evento sancirà nuovamente l’importanza del biodistretto Valdera a livello internazionale: il 30 ottobre si terrà una conferenza sul concetto di resilienza a cui parteciperanno accademici locali e internazionali, tra cui Molly Scott Cato europarlamentare inglese dei Verdi e docente di Green Economies alla Roehempton University di Londra.

 

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ReverseLab: Progetto Esodo

ReverseLab: Progetto Esodo

ReverseLab: Progetto Esodo

 

1. ReverseLab: L’Impresa del Design:

ReverseLab: Cari Lettori, oggi facciamo luce su come dal carcere all’impresa sia stato possibile che duemila detenuti in sei anni  siano stati coinvolti, in un  Progetto esodo in ReverseLab  sostenuto dalla Fondazione Cariverona: un laboratorio che produce orologi, arredi e contenitori: «Il reinserimento è interesse di tutti.»

Una di quelle attualmente in piena espansione è partita tre anni fa con un corso di artigianato tutto particolare: un gruppo di architetti e designer ha deciso di insegnare a una quindicina di detenuti come ricavare dal legno oggetti di arredo, partendo dai pallet di scarto, per esempio, e adesso quegli oggetti prodotti in carcere vengono non solo venduti in tutta Italia ma alcuni dei detenuti sono stati assunti – pur stando tuttora in carcere – dal gruppo stesso dei designer e artigiani che li ha formati.

ReverseLab

2. Il progetto esodo 

Il Progetto Esodo rappresenta una delle tante iniziative  promosso e sostenuto in particolar modo dalla Fondazione Cariverona in collaborazione con varie Caritas diocesane del Veneto, per occuparsi di una di quelle categorie di persone di cui tanto si parla nei convegni dedicati all’impegno sociale, che però poco interessano in realtà alla maggior parte della gente comune: e cioè appunto i galeotti. L’obiettivo del progetto esodo in ReverseLab, come sintetizza la responsabile che lo segue per la FondazioneMarta Cenzi, è riassumibile così: «Creare per queste persone un percorso con tre punti di arrivo che sono lavoro, abitazione, formazione». Non per buonismo ma per un senso di giustizia il cui beneficiario finale, come dicono i numeri, è la società nel suo insieme: «Chi esce di prigione e trova un lavoro, una casa, un contesto in cui ricominciare una vita ha ovviamente meno probabilità di commettere di nuovo un reato. Il che è innegabilmente una vittoria non solo per lui ma per tutti». E per verificarlo con le cifre tra le mani  è stata commissionata una ricerca da parte di Euricse, i cui risultati arriveranno l’anno prossimo.

ReverseLab

3. Duemila detenuti ed il progetto esodo in ReverseLab 

Dal 2011 a oggi – questo è il suo tempo di vita finora – il Progetto Esodo in ReverseLab si è allargato come un tappeto nelle case circondariali di Verona, Vicenza e Belluno, e poi in altre strutture esterne di esecuzione ossia a Mantova ed Ancona, toccando una popolazione carceraria di oltre duemila persone tra cui un centinaio di donne. Complessivamente sono state messe in piedi per loro in questi anni – il dato è aggiornato a qualche tempo fa – 2.107 iniziative tra «corsi di formazione, sostegno alla persone, accoglienza residenziale, orientamento al lavoro, contratti, esperienze di tirocinio, laboratori occupazionali». Il tutto con un impegno finanziario che solo nel primo triennio aveva superato di molto, da parte di Fondazione Cariverona, la quota di 6 milioni di euro, a copertura del 90 per cento del totale delle spese. A testimoniare il fatto che quando una cosa funziona crea imitazione è ancora Marta Cenzi: «Nonostante le percentuali esatte dei risultati non siano ancora disponibili possiamo già dire che su Trento e Belluno stanno crescendo in modo costante le imprese che collaborano con i vari progetti di inserimento lavorativo avviati negli anni».

Uno dei più innovativi, in questo caso su Verona, è come si diceva quello del gruppo ReverseLab: «Siamo una impresa sociale – dice Federica Collato che ne è stata tra i fondatori – di design sostenibile. Facciamo progettazione e produzione artigianale. Recuperiamo legno e lo reinventiamo: in oggetti, orologi, contenitori. Ora in vendita online e tramite i punti di Altro Mercato. Con i detenuti di Verona abbiamo iniziato nel 2014. Il primo anno sono stati 15 e hanno studiato per imparare. Via via ci siamo concentrati sull’approdo a un lavoro. Quest’anno abbiamo aperto una linea produttiva interna al carcere e assunto con un contratto regolare i primi due: scontano la loro pena, ma lavorano e guadagnano, quando usciranno avranno davanti un progetto da continuare».

Questo progetto esodo molto importante ha lo scopo di rinascita attraverso il lavoro e rappresenta così un simbolo  per gli oltre duemila detenuti che dal carcere all’impresa di riciclo del legno ricrea oggetti nelle più svariate forme di design  con la prerogativa di  cambiare  loro la  vita ringraziando così la  Fondazione Cariverona che ha permesso e sostenuto  il progetto  esodo in  ReverseLab fin dalla nascita per dare la possibilità di un futuro migliore ai detenuti in carcere  una volta scontata al pena.

 

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Disoccupazione: Come Affrontarla?

Disoccupazione: Come Affrontarla?

Disoccupazione: Come Affrontarla?

 

 

Disoccupazione

1.La Disoccupazione

Cari lettori,  scrivo di come poter affrontare la Disoccupazione che si vive  quotidianamente e di cui si sente sempre parlare nei media e sui giornali.  Da inattivi a socialmente utili  per se stessi e  per gli  altri.

Essere inattivi, disoccupati, in alcuni casi, per alcuni individui porta sconforto,  rischiando di compromettere la voglia  di reazione  al problema.

Ma vorrei, soffermarmi su alcuni  aspetti e trarre alcuni suggerimenti e vantaggi, di come poter acquisire stabilità e sicurezza in se stessi.  

E’ inaccettabile che un giovane su tre non abbia un posto fisso, sapendo che  il lavoro dovrebbe essere un diritto di  tutti.

Quella determinazione  che emerge ogni volta che si va ad un colloquio  spesso accompagnata dall’impossibilità di non fare nulla al termine, perché si riduce tutto  alla solita frase  di circostanza “ le faremo sapere”,  porta instabilità,  come se  non ci fosse un domani sicuro, spesso governata da quel senso di illusione di un’aspettativa  non concretizzata.

Ma, è proprio in quel momento che non ci si deve scoraggiare.

  1. Reazione, Stabilità, Determinazione e Sicurezza:

Si, è proprio la crisi  che dura da oltre cinque anni, ad aver affondato molte persone, ognuno sperava che il problema si risolvesse con l’arrivo di nuovi governi, ma nulla è cambiato.

Tassi, altissimi di disoccupazione mettono in ginocchio le generazioni  attuali e le precedenti senza respiro !

Siamo pesci che nuotano in acqua stagnata da anni, dove il sipario della vita, non fa che travolgerci, nell’inquietudine di  sempre, in cerca di stabilità,  serenità e sopravvivenza.

Reazione, determinazione, sicurezza e stabilità sono le parole chiave che faranno da capostipite e ci  dovranno sicuramente accompagnare in questo percorso, per  affrontare l’inattività e la disoccupazione .

Reazione è qualcosa che ci dà un motivo per non essere inattivi, non smettere mai di cercare il meglio, partecipare a progetti di volontariato nel proprio paese, fare una ricerca accurata su come  affinare le conoscenze acquisite durante il percorso scolastico.

Avrete sicuramente, già sentito parlare di corsi MOOC,  in cui  spesso  è riconosciuta una certificazione gratuita, sono aperti a tutti i diplomati e laureati, alcune di queste  piattaforme sul web sono Eduoopen e Alison ma ce ne sono tante altre ancora.

Si tratta di open source, in cui è possibile seguire vari corsi  di  tematiche differenti  che spaziano dalla letteratura, alla scienza, oppure  dalle discipline linguistiche alla storia, dal design all’arte, dall’economia alla sociologia.

Credo che  in un momento così difficile, oltre che a  leggere libri, ascoltare musica e fare attività che più ci aggradano, sia fondamentale non interrompere il proprio percorso di formazione in una materia che ci soddisfa.

Spesso alla fine di un percorso online, ci si sente appagati, più determinati ed il pensiero di arrivare a fine mese, che è già un peso,  viene “ammortizzato”,  perché  il sapere è sempre un valore aggiunto ai nostri pensieri e a molte cose che non vanno.

Esistono altri tipi di corsi, molto utili per le persone che  vorrebbero iniziare a  intraprendere un attività in proprio, con determinazione e  coraggio, questi corsi MOOC sono dedicati  agli under 30, e riguardano il marketing digitale, tramite la piattaforma  Google di eccellenze in digitale  del progetto “ crescere in digitale” in partnership con garanzia giovani .

Un’altra piattaforma valida è Lacerba.Io ove è possibile seguire corsi nel settore del web digital .

Esiste inoltre un’università online University Of The people, con benefit finanziari  che  potrebbe essere un’opportunità   maggiore per entrare  nel mondo del lavoro.

La sicurezza in un individuo cambia in base al contesto, alle situazioni, al comportamento che si ha  nei confronti di un evento, di qualcosa di personale.

Partendo dal presupposto che spesso chi è disoccupato  non vive come vorrebbe, ma con  insicurezza, diventa necessario trovare attività che lo rendino più sicuro.  Le passioni sono l’unica forza, un valore inestimabile che un individuo può esprimere per raggiungere quello che non sempre possiede.

Socializzare, non cadere nella depressione, dialogare con le persone giuste.

A volte la disoccupazione, può trasformarsi, in un ossessione,  si spendono ore ad inviare curriculum   offline/online, a volte senza alcun risultato.

Si ha l’impressione di essere invisibili,  inosservati e sfruttando le opportunità del web, strumento  in continua evoluzione, è possibile far emergere il proprio estro interiore  seguendo passioni e sogni, che non è possibile fare emergere nel campo lavorativo.

E nonostante  questa  vita da disoccupato condotta tra dispiaceri e instabilità  è possibile trarre  anche alcuni risultati positivi,  perché diventa un momento per pensare a cosa e a chi vorremo poter  essere in questa società.

 

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LAVORARE NEL NO PROFIT: DA DOVE COMINCIO?

LAVORARE NEL NO PROFIT: DA DOVE COMINCIO?

LAVORARE NEL NO PROFIT: DA DOVE COMINCIO?

Lavorare nel no profit: Ultimo anno di università: gli esami da finire, la tesi da preparare, la voglia di lavorare nel no profit e mettere in pratica quanto studiato, magari con qualche associazione che si occupa di. Da che parte inizio? Come faccio a distinguermi? Dove posso trovare offerte di lavoro in ambito no profit? Queste le domande che mi assillavano.

LAVORARE NEL NO PROFIT

Il primo problema era riuscire a distinguermi dai tanti neolaureati, avere le idee chiare mi ha aiutata a creare un percorso e aggiungere man mano piccoli tasselli mentre lo percorrevo. Ho così iniziato a fare volontariato in Italia, fatto campi di lavoro all’estero, frequentato corsi di formazione extra universitari e seguito conferenze, oltre a fare esperienze da poter aggiungere nel cv.
Mi sono divertita, ho conosciuto molte persone e raccolto moltissimi stimoli.

LAVORARE NEL NO PROFIT

Dove posso trovare le offerte per lavorare nel no profit ? A differenza che in altri settori, per lavorare nel no profit non si girano le agenzie interinali alla ricerca di possibili offerte, dovevo quindi capire dove scovarle sia per profili in Italia che all’estero. Sono così capitata sul sito del VIS – volontariato internazionale per lo sviluppo, che tuttora raccoglie una serie di offerte di lavoro e formative in ambito no profit. La maggior parte erano per me inaccessibili per mancanza di esperienza, ma mi sono state di grande aiuto per capire come costruirmi un profilo valido: richiesta conoscenza di almeno due lingue straniere, richiesta conoscenza del PCM, precedenti esperienze all’estero, e così via, e sulla base di quello che richiedevano cercavo di costruirmi esperienze per far sì che un po’ alla volta il mio profilo rispondesse alle richieste.

LAVORARE NEL NO PROFIT

Un altro sito che ho trovato molto utile è stato ScambiEuropei che posta offerte di stage, volontariato, SVE e molto altro. Un ottimo punto di partenza.
Oggi esistono piattaforme specializzate che possono aiutarti a lavorare nel no profit e nel sociale, sia in Italia che all’estero. Tra quelle che maggiormente uso e considero complete vi segnalo:
Job4good: l’ultima piattaforma italiana di job-matching che fa incontrare domanda ed offerta. Le associazioni possono registrarsi e caricare le proprie offerte e visualizzare i profili degli utenti. Le offerte riguardano tutto il terzo settore;
Info–cooperazione: portale di informazione, con aggiornamenti sui temi della cooperazione, pubblicazione bandi e anche una sezione lavoro interessante;
Reliefweb: sito leader per quanto riguarda l’informazione in ambito umanitario, ha un’ottima sezione dedicata alle offerte di lavoro in tutto il mondo;
Si tratta di un sito che aggrega offerte di lavoro in ambito no profit proveniente da diversi siti, per cui spesso attraverso questo sito se ne possono scovare altri interessanti. Vi è una sezione in cui è possibile ricercare le offerte anche attraverso una mappa: volete lavorare a tutti i costi a Kiribati? Potrete consultare direttamente le offerte presenti.
Le associazioni più grandi e strutturate, in particolare a livello internazionale, hanno una sezione dedicata sui siti e spesso una newsletter specifica per le vacancy, un’altra possibilità è quella di iscriversi così da essere periodicamente aggiornati sulle ultime offerte.
Un ultimo (banale) consiglio: se veramente è questo che volete fare non smettete di crederci e cercare…ci sarà l’offerta giusta, al momento giusto, nel posto giusto!

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Nancy Brilli: Attori senza casa - la nuova sfida

Nancy Brilli: Attori senza casa la nuova sfida

Nancy Brilli: Attori senza casa – la nuova sfida

 

Nancy Brilli: Cari lettori, oggi scrivo di un avventura intrapresa da Nancy Brilli : aiutare gli attori senza casa!

 

Nancy Brilli

Nancy Brilli: Supportare i vari artisti debuttanti, questo è l’obiettivo di quest’iniziativa brillante e ricca di contenuti. Perché? Come sostiene  Nancy Brilli si tratta di  «quasi un non lavoro. La media delle giornate lavorative è di 14 ore all’anno. Molti ragazzi mi chiedono come fare a iniziare seriamente un percorso professionale»

C’è una porta che si sta aprendo, nella vita di Nancy Brilli, e si vedrà il mondo che c’è dietro al suo sorriso, la vita che corre veloce. Vi scrivo della  voglia che ha Nancy Brilli  di riprendere possesso di sé, dopo un anno impegnativo di vita privata, in cui si è fermata a riflettere e decidere di aiutare degli attori senza casa. Voglia di ricominciare il suo lavoro di attrice; voglia di dare un palcoscenico a chi ancora non ce l’ha.

A partire dagli attori teatrali.

Ci sono giovani attori senza casa pieni di energia e passione che continuano a tentare, consapevoli che per molti il teatro è temporaneo ossia “non lavoro”, dove vengono spesso pagati in nero, o al di sotto del minimo sindacale, e i compensi sono maggiori per i maschi. Se su internet cerchi “impresarie teatrali“, non appare nemmeno un nome femminile».

Nancy Brilli

Nancy Brilli, continua spiegando  che «è un mondo in cui non è  ancora stato sperimentato, dobbiamo imparare dagli uomini a lavorare in gruppo, prendere coscienza di avere diritto di fare determinati passi, non c’è l’abitudine, forse è anche pigrizia. Si lavora a chiamata: decidere di essere i “chiamanti” ed è una grossa responsabilità e una fatica in più». Alla sua «impresa» Nancy, decide di dare una svolta sociale: «Ci sono migliaia di attori disoccupati, e non solo giovani, che per tirare avanti insegnano recitazione a 5 euro l’ora. È complicato ricevere aiuti dal Ministero per un debuttante. Supportarli. È questo che voglio fare».

Al Brancaccino di Roma: una storia «tragicomica»

Così il 26 gennaio al Brancaccino di Roma, Nancy Brilli debutta come impresaria, per il monologo Prego (la gallina, la guerra e io) scritto e interpretato da Giovanna Mori, un’attrice  drammaturga (attrice senza casa in cerca di un’ opportunità di lavoro) quasi sua coetanea che non è un volto noto ma ha talento da offrire, e questa è la storia «tragicomica» di una piccolo-borghese la cui vita sarà ribaltata dopo avere appreso in tv la (vera) notizia di una bambina kamikaze in Medioriente: verrà riconosciuta dalle trecce di capelli. Inoltre dei giovani attori interpreteranno «Personcine», cioè personaggi del monologo. Essere produttrice è una parte della nuova vita di Nancy. Ecco che i suoi occhi lunghi che rivelano l’origine ucraina, diventano due fessure da cui trapela quello che vuole sapere di un «ruolo» a lei finora sconosciuto.

«Ho visto Giovanna a teatro – racconta – e me ne sono innamorata, aggiunge poesia alla commedia. È un piccolo spettacolo, ma devo entrare bene nell’ingranaggio e come primo passo è giusto. Nel teatro per molto tempo si è cercato il nome televisivo e basta, e ti parla una che ne ha fatta tanta». Lei è stata fortunata. «Ma poi ho dovuto faticare per essere credibile. Avevo la pretesa che gli altri capissero che sotto un’esteriorità più o meno seduttiva ci fosse uno spessore. Chi mi ha visto a teatro, questa profondità la conosce. Era una pretesa sbagliata».

Perché?

«Perché la gente si fa un’idea di ciò che vede in superficie. Ora invece ho bisogno di sottolineare il lato più nascosto, più interiore di me. Non rinnego certo il mio passato, ma non vorrei più sentirmi paragonare a una bottiglia di champagne. Non è che non voglia fare l’attrice di commedie: voglio essere una commediante di spessore. Ho cominciato col cinema – ricorda – ma ho scelto questo mestiere quando ho fatto il teatro, prima era un modo per sopravvivere e non sapevo se avrebbe funzionato. Il mondo degli impresari è cambiato molto, quelli privati sono difficili da trovare, spesso sono una sorta di produttori esecutivi dello Stato: ricevono 100, ne investono 80 e il 20 lo guadagnano loro».

Ma  spesso ci si domanda se i giganti di una volta fossero avventurieri? Risponde citando i grandi: «Ho lavorato con Lucio ArdenziPietro GarineiIvo Chiesa, e stiamo parlando di giganti. Capita di non essere pagati malgrado il contratto».

Questo racconto potrebbe essere un’opportunità per aiutare gli attori senza casa in difficoltà  come ad esempio l’esordio della storia tragicomica di Giovanna Mori al Brancaccino di Roma, far capire a loro, che anche i  grandi nomi, quando ci sono le condizioni non abbandonano di certo, i sogni che danno vita.

Ed è così che Nancy Brilli, nel suo piccolo, dopo una vasta esperienza lodevole di carriera come attrice dello spettacolo, cerca di aiutare, attraverso un taglio sociale, gli attori senza casa che ogni giorno lottano per  avere gli stessi diritti di chi ha già una strada spianata nel mondo del teatro e del cinema.

 

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Suicidio: Fondo Serenella e lo spettro del suicidio

Suicidio: Fondo Serenella e lo spettro del suicidio

Suicidio: Fondo Serenella e lo spettro del suicidio

 

1  Suicidio: La tentazione del suicidio e la nascita del Fondo Serenella

Suicidio: Cari Lettori, oggi scrivo dell’idea innovativa da parte di una donna, una vera guerriera che nonostante la sua rabbia ed il suo dolore è riuscita ad emergere con positività scavalcando le barriere dell’impossibile ma soprattutto quella del suicidio. Questa donna ha fondato un’associazione anti-suicidi chiamata il “Fondo Serenella”.

Lei è Serenella Antoniazzi, imprenditrice Veneziana di Concordia Sagittaria che dopo essersi trovata in grossa difficoltà con la sua azienda, per una commessa mai saldata, disperata, si è lasciata trasportare dal più tenebro pensiero: il suicidio.

Successivamente, per non cadere nell’oblio, ha avuto la forza di agire ed oltre ad aver fondato un’ associazione anti-suicidi  dal nome «Fondo Serenella» per gli imprenditori che si sono ritrovati in difficoltà, ha anche fondato insieme al fratello un’altra associazione chiamata la «Stanza delle idee» salvando altre vite dal buco nero della crisi .

Serenella si racconta così: «Sono in autostrada, i camion sfrecciano alla mia sinistra. Il clacson di un tir mi stordisce… non posso portare a casa un’altra sconfitta. Il respiro diventa affannoso, se accelerassi e chiudessi gli occhi, un attimo, uno schianto, poi sarebbe tutto finito…».

Dalle sue parole trapela un senso di colpa enorme in cui non è semplice ammettere l’ennesima sconfitta e spesso ci si ritrova soli, dinnanzi a pensieri cupi proprio come è successo alla nostra Serenella Antoniazzi.

2 Dal suicidio alla rivoluzione anti-suicidi :

I motivi che la spingono a portare avanti questi pensieri così forti sono iniziati da quando con la sua piccola azienda di levigatura del legno,  ha dovuto fare i conti con una commessa mai saldata, si tratta di un enorme buco nero che ammonta a circa 400 mila euro. Per Lei, cresciuta nel capannone costruito dal padre, dove ha iniziato a lavorare a 16 anni, quel baratro è diventato un incubo. Il lavoro e la fabbrica, la sua vita e la sua identità erano tutto per Lei. Il rischio di poter perderli, di fallire, spesso era sinonimo di annientamento della sua persona. Per questo è stata a un passo dal suicidio. Una famiglia da mandare avanti, gli operai che contavano su di Lei, la latitanza dello Stato, le porte sbattute in faccia dalle banche. E quella voragine causata dal mancato pagamento di un suo cliente.

3 Dalla sconfitta alla rivincita: il Fondo Serenella

Ma invece di morire, Serenella si è rimboccata le maniche, si è messa a capo di altri imprenditori, ha marciato su Roma, ha fatto leva sui palazzi della politica e combattuto fino alla fine.

Finché dopo quattro anni, la sua battaglia è diventata una rivoluzione, che ha costretto prima la Regione Veneto e poi il governo ad approvare il «Fondo Serenella» per gli imprenditori che si trovano in difficoltà. In questo Fondo Serenella vi sono diversi finanziamenti sia regionali (un milione di euro), che nazionali (trenta milioni di euro, dieci all’anno) a imprese vittime di mancati pagamenti di clienti, che denunciano questi comportamenti dolosi. In sostanza un fondo «anti-suicidi».  Ma cosa le ha dato tutta quella  forza per poter andare avanti?

Lei risponde così: «In teoria avrei dovuto chiudere, mettere in liquidazione l’azienda, ripartire da un’altra parte con un altro marchio come fanno tutti. Ma ho continuato a lottare. Caricavo i miei prodotti sui camion e pensavo: fra 30 anni ci sarà qualcuno che userà ancora la cucina che ho contribuito a costruire, lì scalderà il latte per il suo bambino, preparerà la cena per la famiglia».

Questa  tragica vicenda di Serenella Antoniazzi, per fortuna a lieto fine, è diventata anche un’ opera teatrale «Rosso Io non voglio fallire», portata in scena dall’attrice Giulia Bornacin: ogni spettacolo concluso con dieci minuti di applausi, standing ovation e pubblico in lacrime.

Ma Serenella non si ferma. Dopo avere salvato la sua azienda vuole aiutare anche gli altri. Grazie ai contributi del «Fondo Serenella» del governo, ha ripianato il debito della sua azienda prendendo così la decisione di voler chiudere quel capitolo. Ha lasciato l’azienda al fratello e ha fondato con Riccardo Palmerini «La Stanza delle Idee», associazione culturale che aiuta piccole imprese in difficoltà e sviluppa e sostiene idee e aziende di donne. Ma Voi tutti vi chiederete in che modo oggi, Serenella  aiuta gli imprenditori vittime della crisi? Attraverso soluzioni legali e di management per tirarli fuori dal guado!

Alla storia di Serenella si è ispirata anche una tesi di laurea: Mohamed Abdulrazzak Achouri, studente siriano di Economia e Management all’Università di Padova, ha affrontato il tema della crisi dal punto di vista psicologico e sociale, partendo dal «caso Serenella». Ha voluto Lei come co-relatrice di laurea. E ora con altri cinque studenti sta lavorando insieme all’associazione «La Stanza delle Idee». E come ha  esplicato Mohamed davanti alla commissione di laurea: «Il lavoro per gli imprenditori del Nordest diventa un’ossessione, ma entrando dentro la vita delle persone capisci che questo accade perché nelle imprese di famiglia anche i dipendenti diventano parte della famiglia e l’imprenditore ha su di sé la responsabilità enorme dell’esistenza di tutti».

Questa vicenda, ricca di contenuti  rimarrà nel corso della storia, un altro esempio di come per fortuna, nonostante le sconfitte ci si è risollevati dando  un senso innovativo allo sconforto attraverso un’ idea fenomenale che vale più di ogni altra cosa, ponendosi l’obiettivo di offrire supporto per gli imprenditori che ogni giorno si trovano in difficoltà, dovendo fronteggiare quel buco nero della crisi economica, ritrovandosi spesso valutare “soluzioni estreme”.

Bisognerebbe prendere in considerazione questo punto di riferimento essenziale di aiuto e ricordare che un’ associazione anti suicidi completamente rivoluzionaria chiamata il Fondo di Serenella potrebbe aiutare a superare i diversi ostacoli  economico-finanziari e togliersi dalla testa il pensiero del suicidio.

 

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15 NOVEMBRE: ARTICOLI DELLA SETTIMANA

Cercatori di LavOro: Il nuovo progetto della Chiesa Italiana per combattere il dramma della mancanza di lavoro

Cercatori: Progetto sostegno trovare lavoro

Cercatori di LavOro:

Il nuovo progetto della Chiesa Italiana per combattere il dramma della mancanza di lavoro

 

Cercatori: Il progetto Cercatori di LavOro (voluto il gioco di parole oro – lavoro) nasce dal desiderio della Chiesa Italiana di rispondere ai sempre più numerosi e accorati appelli di Papa Francesco, sul tema della disoccupazione (soprattutto quella giovanile) che il Santo Padre ha definito “malattia sociale”.

Lo scopo dell’iniziativa è quello di offrire uno sguardo sul nostro territorio nazionale, offrendo ai vescovi e alle comunità ecclesiali locali, elementi concreti di speranza, spunti creativi per affrontare i principali temi della nostra società: l’assenza di lavoro e la povertà nelle sue diverse sfaccettature, sociali, economiche e relazionali; inoltre il progetto ha come obiettivo anche quello di stimolare le realtà territoriali ecclesiali a conoscere il proprio territorio a partire dall’identificazione di buone pratiche in materia di lavoro attraverso il coinvolgimento diretto delle Piccole e Medie Imprese, della Pubblica Amministrazione, delle organizzazioni territoriali e degli Enti scolastici adibiti alla formazione professionale per l’inserimento lavorativo.

Un’ iniziativa strutturata su più fasi come descritto sul sito www.nexteconomia.org

1° Fase: il Cercatore di LavOro

La prima fase consiste nell’individuazione e nell’invio in missione dei cercatori da parte del Vescovo della diocesi interessata allo sviluppo del progetto. L’individuazione dei “cercatori di LavOro” verrà realizzata a partire dalle realtà ecclesiali più sensibili al tema (operatori del progetto Policoro, laici coinvolti nella pastorale sociale e del lavoro delle diocesi, credenti appassionati ai temi del lavoro e della giustizia).

2° Fase: la Missione

La seconda fase consiste nella scesa in campo da parte dei giovani Cercatori che si metteranno in contatto con le realtà amministrative, produttive e di formazione  del proprio territorio (sindacati, banche di credito cooperativo, associazioni di categoria) che li aiuteranno ad individuare la migliore pratica (fase due). Tra gli Enti ed organizzazioni referenti accompagnatrici vi saranno innanzitutto le organizzazioni del mondo del lavoro di ispirazione cristiana (sindacati, banche di credito cooperativo, Acli, MLAC, MCL) e più in generale le istituzioni locali (confindustria, confcommercio, confartigianato).

3° Fase: le Buone Pratiche

La terza fase consiste nella somministrazione del questionario da parte del Cercatore una volta identificata la migliore pratica. Il questionario serve infatti a raccontarla e valutarne le caratteristiche secondo un criterio di analisi qualitativa. Sarà importante in particolare identificarne le caratteristiche di successo, le possibilità di riproducibilità dell’esperienza su altri territori nonché le esigenze eventualmente sollevate in materia di politica del lavoro dagli innovatori per aumentare le probabilità di successo di esperienze simili.

4° Fase: la Condivisione del Percorso

La quarta fase chiude il percorso con un momento di restituzione da parte dei Cercatori che si confronteranno tra loro e condivideranno quanto raccolto nelle loro missioni. Attraverso dei momenti laboratoriali a livello regionale, l’obiettivo è di creare scambio di buone pratiche e confrontarle a livello nazionale durante l’incontro di Cagliari. Dal confronto e dalla riflessione sulle esperienze potranno scaturire proposte per aumentarne la diffusione e la realizzazione nel Paese.

Un progetto “work in progress”, un percorso che intende raccontare e riflettere su tutti i semi di speranza e di risposta concreta all’emergenza dei nostri tempi e che culminerà a  Cagliari con le attività assembleari della 48ª Settimana Sociale dei cattolici Italiani. Si costruirà così un archivio di buone pratiche che farà da riferimento ed ispirazione nel tentativo di disseminare e diffondere idee, pratiche e soluzioni per il drammatico problema del lavoro.

Per conoscere in dettaglio il progetto è possibile visitare su youtube la video – presentazione dell’iniziativa a cura dell’economista  Leonardo Becchetti membro del Comitato organizzatore delle Settimane sociali.

 

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NODO COOPERAZIONE: UN LAVORO VUOL DIRE DIGNITÀ, INDIPENDENZA E FELICITÀ

Nodo Cooperazione Vuol Dire Dignità

NODO COOPERAZIONE:

UN LAVORO VUOL DIRE DIGNITÀ, INDIPENDENZA E FELICITÀ

 

Nodo Cooperazione Internazionale, lasciando alle spalle l’assistenzialismo, ha optato per diffondere la cultura del lavoro con un progetto innovativo di auto sviluppo, una scuola che supporta le capacità artigianali della Cambogia, dove la manualità non è stata ancora soffocata dall’uso delle macchine.

Una nazione che vuole guardare al futuro deve prima di tutto pensare ai bambini e ai giovani, alla loro educazione e alla loro istruzione perché loro sono il bene primario della società, i cittadini del domani che dovranno poter lavorare, produrre e contribuire allo sviluppo del proprio paese.

Uno degli obiettivi del Nodo è quello di aiutare i giovani della Cambogia a superare ignoranza e povertà, trasferendo conoscenze e metodologie, dando valore all’individuo e stimolando le capacità di gestire attraverso il lavoro, il loro futuro e quello delle loro famiglie.

La Bottega dell’Arte di Phnom Penh è una scuola di design sociale dove 25 ragazzi e ragazze imparano a lavorare l’argento. La maggior parte di loro arriva da una zona poverissima della periferia della città, sono giovani con scarsa istruzione, con difficili situazioni familiari, alcuni sono orfani appena usciti dall’orfanotrofio o portatori di handicap. Per loro la Bottega non è solo un luogo dove imparare una professione ma anche una casa e una protezione.

Ogni anno un designer italiano trascorre un mese in Bottega per insegnare ai ragazzi a produrre oggetti innovativi. Nella scuola non si tengono solo corsi di disegno e lavorazione del metallo, ma anche corsi di contabilità e gestione d’impresa, nonché corsi di alfabetizzazione per gli studenti che non hanno potuto completare gli studi di base. Alla fine del percorso, i più bravi possono rimanere in Bottega ad insegnare, i più intraprendenti aprono una loro attività, sostenuti dal Nodo con un piccolo prestito, gli altri vengono aiutati a trovare un lavoro in imprese esistenti.

Un altro grosso problema che affligge la Cambogia e di cui Il Nodo ha voluto occuparsi è quello dell’acqua. L’acqua è causa di allagamenti e disastri naturali, ma qui è anche una delle maggiori cause di mortalità infantile. Per questo Il Nodo distribuisce filtri per la potabilizzazione dell’acqua, ma interviene anche organizzando corsi di igiene e manutenzione del filtro. In quattro anni sono stati distribuiti più di 600 filtri ed ha istruito i bambini e le loro famiglie per il loro uso e manutenzione.

Il Nodo collabora, inoltre, con alcuni orfanotrofi locali, fornendo ai bambini e ragazzi ospiti, tutto il necessario per nutrirsi adeguatamente, vestirsi e andare a scuola. Offre loro corsi complementari di inglese e computer utili a qualificarli per un futuro lavoro, corsi di musica e di danza per fornire interessi e stimoli che li aiutino a formarsi un’identità positiva e corsi di tessitura ed intreccio di ceste e stuoie per insegnare attività generatrici di reddito ai ragazzi prossimi all’uscita dall’Istituto.

Questi sono solo alcuni dei progetti che Il Nodo Cooperazione Internazionale Onlus ha in corso in Cambogia. Se volete conoscere meglio questa bellissima realtà, se volete aiutarli o entrare a far parte di questa associazione, potete scrivere a info@ilnodoonlus.org  o telefonare allo 02.66801806 e sarete sempre ben accolti.

 

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Lavoro del futuro: come stanno cambiando le aziende con la pandemia

Lavoro del futuro: come cambiano le aziende

Lavoro del futuro: come stanno cambiando le aziende con la pandemia

 

Lavoro: Il processo di cambiamento che stiamo vivendo è stato accelerato dalla pandemia mondiale e molte aziende si sono trovate ad affrontare delle difficoltà logistiche che, probabilmente, avrebbero voluto rimandare nei prossimi anni.

Sono migliaia le aziende che hanno iniziato a cambiare atteggiamento di fronte al nuovo tipo di lavoro che viene richiesto oggi.

Fino ad ora le aziende in crescita hanno investito in uffici in giro per il mondo per sopperire alle richieste dei clienti, in questo momento di pandemia però sono state obbligate a cambiare approccio.

Non è più sufficiente un luogo di lavoro fisico ma è diventato indispensabile uno sviluppo di lavoro in modalità diffusa e soprattutto un lavoro in modalità remota.

Questo cambiamento è avvenuto in un periodo di tempo ridottissimo ed ha spiazzato anche  le grandi aziende. Alcune però hanno sfruttato questo momento per cambiare rotta e dirigersi verso il futuro.

Sull’onda di aziende come Facebook, Twitter o Shopify, anche altre realtà hanno iniziato a “concedere” ai propri dipendenti la possibilità di lavorare da qualsiasi luogo, non solo da casa, promuovendo la flessibilità in termini di orario e il lavoro da remoto.

 

Perché le aziende attivano lo smart working

Le aziende che stanno scegliendo questa strada avranno comunque dei ritorni economici già nel breve periodo perché ridurranno il budget dedicato alle locazioni e alle spese ad esse collegate ma anche alle eventuali spese per alloggi e trasferte per i dipendenti fuori sede.

Per ora è impensabile che le grandi aziende possano scegliere di non avere degli uffici fisici, ma sicuramente li ridurranno e li renderanno fruibili in modo differente per venire incontro alle nuove esigenze lavorative e improntati sempre più verso la sicurezza e il benessere dei dipendenti.

Dare la possibilità di lavorare in smart working consentirà di non licenziare parte della propria forza lavoro e di permettere al maggior numero di persone di lavorare ed avere una retribuzione adeguata.

 

Come viene visto il lavoro da casa dai dipendenti?

I dipendenti, abituati ad andare sul luogo di lavoro ogni giorno e ad avere una relazione diretta con i colleghi, non hanno vissuto sempre bene l’opportunità di lavorare a casa. Sebbene ci siano numerosi vantaggi nello smart working, come la possibilità di vivere di più la famiglia, viene meno l’aspetto delle relazioni sociali in ambito lavorativo.

Per molte persone lavorare da casa è facilmente accettabile per un periodo limitato di tempo, ma sono parecchi i dipendenti che ancora preferiscono suddivisione tra la realtà domestica e quella lavorativa.

 

Le nuove tecnologie da sviluppare per lo smart working

Durante questi primi mesi di pandemia, uno dei maggiori problemi per le aziende è stato quello legato alla sicurezza degli accessi alle proprie risorse. Alcune, per esempio, hanno implementato dei sistemi di protezione al proprio ambiente “cloud”, luoghi virtuali dove lavoratori e aziende condividono i documenti.

Lavorando online, i dipendenti accedono ai dati aziendali con una user ed una password; questo sistema sta diventando obsoleto e facilmente hackerabile soprattutto se gli accessi avvengono tramite smartphone. Le aziende dovranno studiare delle soluzioni che stiano al passo con i tempi e che quindi prendano in considerazione l’uso di strumenti tecnologici, come gli smartphone, che i propri dipendenti hanno a disposizione. Sono quindi preferibili strumenti di lavoro che diano una maggiore sicurezza di accesso tramite impronte digitali oppure tramite rilevatori del volto.

Le aziende dovranno investire in sistemi più avanzati di assistenza da remoto, ma anche nuovi sistemi e occasioni che favoriscano il confronto e lo scambio di idee e soluzioni tra i propri dipendenti e l’azienda.

 

Il cambiamento è ora

In pochissimi mesi abbiamo visto dei cambiamenti enormi in termini di lavoro e nel prossimo futuro è impensabile immaginare il lavoro come lo abbiamo vissuto fino ad ora.

Le aziende dovranno approntare delle modifiche per poter affrontare le nuove esigenze e i loro dipendenti dovranno accettare il cambiamento ed adeguarsi al nuovo mondo lavorativo.

 

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Federico Olivo

PHI Foundation 

Equity Crowdfunding: mese di fermento in Italia

Equity Crowdfunding: mese di fermento in Italia

Equity Crowdfunding: mese di fermento in Italia

Anche questi ultimi giorni di giugno richiamano l’attenzione verso il fenomeno dell’equity crowdfunding in Italia.

Equity Crowdfunding

Durante quest’ultimo mese si è percepito fermento attorno a tale strumento.

Già qualche settimana fa circolavano con entusiasmo le notizie riguardanti la campagna di equity crowdfunding di Synbiotec lanciata su NextEquity che aveva raggiunto l’obiettivo di 1 milione di euro, battendo così il record per l’ammontare della raccolta. Gli entusiasmi erano anche giustificati dal fatto che Synbiotec è stata la prima ed unica PMI innovativa ad aver finora intrapreso la strada della raccolta di capitale di rischio tramite portali online.

Soprattutto, grazie a questo risultato, l’Italia ha visto raddoppiare negli ultimi sei mesi il totale raccolto tramite equity crowdfunding e quasi duplicato anche il numero totale di campagne concluse con successo, come ci mostrano i dati raccolti dall’Osservatorio sul Crowd-investing del Politecnico di Milano.

I numeri restano ancora esigui rispetto ai nostri vicini, ma dalla giusta prospettiva si può notare nuovo movimento, dopo che la normativa, prima che venisse modificata, aveva frustrato le migliori intenzioni e aspettative.

Le novità

Negli ultimi dieci giorni cinque nuove campagne sono state lanciate su tre portali diversi.

Gli attori sono Primary System Research S.p.A. che ha scelto il portale WeAreStarting, NexApp che ha promosso il suo motore di ricerca su Opstart e le tre startup (Trapezita, Indigènio e Forever Bambù) accolte da EquityStartup.

Quest’ultimo porta con sé novità dirompenti, oltre il lancio di tre campagne in contemporanea. Non soltanto è il primo portale lanciato da un’associazione di categoria, AscomFidi Nord-Ovest, ma nasce con una partnership con Intermonte SIM S.p.A., che si offre come intermediario cui intestare fiduciariamente le quote di startup o PMI innovative acquistate sul portale di equity crowdfunding.

L’obiettivo è la creazione di un mercato secondario in cui poter scambiare le stesse.

Il fermento continua

Anche quest’ultima settimana del mese richiama l’attenzione sul fenomeno dell’equity crowdfunding.

Un evento inedito infatti è stato organizzato al Politecnico di Milano , e vedrà la presentazione del primo report sul crowdinvesting in Italia; in programma anche una tavola rotonda sulle prospettive per l’Italia riguardo al fundraising nell’era digitale.

 

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Redazione

Phi Foundation

Cagliari: Nasce una Nuova Comunità di Recupero

Cagliari: Nasce una Nuova Comunità di Recupero

Cagliari: Nasce una Nuova Comunità di Recupero

 

1 Cagliari: La Locanda dei buoni e cattivi:

Cagliari: Cari lettori oggi vi scriviamo dell’esempio che arriva da Cagliari dove grazie a una cooperativa un gruppo di ragazzi «ai margini» ha conquistato l’indipendenza ottenendo dei finanziamenti dalla Fondazione Prosolidar attraverso un bando senza scadenza per progetti di sviluppo.

Senza ripensamenti: l’hanno chiamata la «Locanda dei buoni e cattivi». Ci sono i ragazzi appena maggiorenni provenienti dalle comunità in cui erano stati inseriti a causa di situazioni familiari difficili. Ma ci sono anche le ragazze madri vittime di violenza con bambini piccoli, a loro volta uscite da comunità di cura. Ci sono quelli con qualche disabilità, volenterosi e molto impegnati. E ci sono altri ancora. Li accomuna l’aver deciso di tirarsi su, di non piangersi addosso per i problemi vissuti, di rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro. Così è nata a Cagliari la Locanda dei buoni e dei cattivi.

2 La Fondazione Prosolidar:

La Locanda dei buoni e dei cattivi è gestita dalla cooperativa sociale omonima sorta nell’ambito di un percorso di sostegno ed incubazione della Fondazione Domus De Luna. Le giornate alla Locanda dei buoni e dei cattivi non hanno un attimo di pausa: si comincia la mattina preparando letti e colazione per gli ospiti delle 5 camere, poi subito in cucina, dove entra solo merce fresca e a km zero, quindi a poca distanza da Cagliari, spesso proveniente dalle terre confiscate alle mafie e l’olio della comunità in collina. Ogni giorno si impastano pane e pasta, anche per le persone con intolleranze o esigenze speciali.

Ecco alcune testimonianze: «Mettiamo gli stessi valori di solidarietà e rispetto in tutto quello che facciamo – dice il responsabile della Locanda dei buoni e dei cattivi– e cerchiamo fornitori e prodotti che si rispecchino in questi valori». Poi c’è il flusso di arrivi e partenze nei tre appartamenti indipendenti nel centro di Cagliari, c’è da gestire il noleggio bici e gli impegni aumenteranno certamente nei prossimi mesi visto che la locanda si allargherà con tre nuove camere aperte grazie al contributo della Fondazione Prosolidar, che l’ha finanziata con 80 mila euro a fondo perduto.

La Fondazione Prosolidar è una onlus nata dal Fondo Nazionale del settore del credito, vi sono rappresentate tutte le organizzazioni sindacali del settore del credito, l’Abi e le imprese aderenti. Prosolidar accantona ogni anno dalle proprie disponibilità un fondo da destinare a progetti di emergenza, in Italia e nel Mondo: è subito operativa quando c’è da allestire un asilo spazzato via dall’alluvione o costruire strutture di ritrovo scomparse con il terremoto. Con la parte rimanente sostiene progetti di sviluppo sociale in tutta Italia e anche all’estero.

Ai suoi fondi possono accedere grandi e piccoli soggetti del Terzo settore, perché realizza una strategia inclusiva di sostegno a progetti diversi con una quota di contributo proporzionata ai costi complessivi. Il bando non ha scadenza, ma di solito una prima tranche di valutazione dei progetti avviene nel mese di aprile. È dunque questo il momento giusto per riflettere sulla propria proposta, verificando i requisiti richiesti e la documentazione da presentare sul sito www.fondazioneprosolidar.org. Sono privilegiate attività che possano avviare processi di sviluppo economico, gli investimenti a carattere produttivo, che aiutino le comunità a raggiungere l’autosufficienza economica e la serenità alimentare.

Termini che ci riportano ancora alla Locanda dei Buoni e Cattivi, dove non si impara solo un mestiere ma anche la cura di sé stessi, con un impegno concreto ogni giorno. Da persone ai margini della società questi ragazzi sono diventati cittadini attivi, da ragazze in cerca di aiuto sono diventate imprenditrici che lavorano bene generando reddito e processi sociali positivi. Positivi nella gestione e nell’inclusione, ma anche nella qualità: sono stati premiati dal Gambero Rosso fra i migliori ristoranti d’Italia e hanno anche ricevuto la menzione di «Buona Cucina» del Touring Club Italiano.

 

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Redazione

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13 OTTOBRE: ARTICOLI DELLA SETTIMANA

SETTIMANA 7 OTTOBRE GLI ULTIMI ARTICOLI

SETTIMANA 2 OTTOBRE GLI ULTIMI ARTICOLI

Un progetto formativo per i migranti

Versoprobo è una società cooperativa sociale nata nel 2009 che sta realizzando un progetto formativo per la riabilitazione sociale dei migranti.

Inizialmente si occupava e gestiva servizi socio-sanitari-assistenziali;  nello specifico, case di riposo per anziani auto e non auto-sufficienti e gruppi appartamento per pazienti psichiatrici. 

La svolta

Nel 2015, nel pieno degli arrivi di un numero sempre più elevato di migranti, Versoprobo iniziò a pensare a un nuovo modo di vedere e interpretare l’accoglienza, che si discostasse dal solo assistenzialismo volto a coprire un’emergenza ma che mettesse al centro la figura del migrante.

Inserito nel contesto della comunità locale,  così da permettergli di integrarsi nella nuova realtà e ottenere l’assistenza necessaria al termine di un’esperienza traumatica come quella della migrazione.

Nacque cosi l’idea del progetto formativo.

I migranti accolti sono in prevalenza di genere maschile di età compresa tra i 18 ed i 30 anni e sono accolti in strutture abitative di grandi dimensioni così da permettere un’assistenza migliore e poter avviare così un progetto formativo e collaborazioni proficue con gli enti territoriali circostanti.

I numeri

29 sono le strutture adibite all’accoglienza di adulti, minori e famiglie, gestendo in ogni suo aspetto il servizio di accoglienza.

Versoprobo attualmente si occupa di circa 1042 beneficiari del servizio e impiega circa 300 dipendenti.

La Cooperativa svolge attività per conto dalle prefetture di Torino, Novara, Alessandria, Asti, Verbania, Biella, Vercelli e Varese e si è guadagnata la fiducia e l’apprezzamento per la serietà e l’impegno dimostrati.

La storia

Collins, Suleymane, Lamarana e Ionkou mostrano orgogliosi i loro diplomi che hanno appena conseguito. Tutto questo grazie al lavoro svolto dal centro migranti di Gozzano gestito dalla cooperativa Versoprobo in collaborazione con l’ente formativo Enaip che ha permesso lo svolgimento del progetto formativo:

“Sono ragazzi – dicono i coordinatori Martino Giustina e Alex Didino – che si sono impegnati moltissimo per superare la barriera linguistica e le nuove materie che hanno dovuto affrontare. Adesso speriamo che qualcuno li chiami per un posto di lavoro. Sono pronti e competenti.”

Suleyname della Guinea ha 19 anni e ha conseguito la licenza media a Borgomanero: “Sono arrivato in Italia l’altra estate. Mio padre è una delle tante persone rinchiuse nello stadio della capitale e di cui si sono perse le tracce: sono state uccise. Mia madre è morta. Lui voleva che studiassi e siccome in Guinea non avevo questa possibilità sono venuto qui. Adesso vorrei andare avanti e studiare all’alberghiero.”

Anche Lamarana, del Senegal ha appena ricevuto il diploma di terza media: Ho portato una tesina sul mio paese, ho raccontato dei suoi problemi ma anche della sua bellezza. Adesso vorrei fare l’elettricista-saldatore.”

Diploma all’Enaip per Ionkou, del Camerun 28 anni: “Nel mio paese avevo frequentato due anni l’Università, alla facoltà di Economia e Commercio, che però non è riconosciuta in Italia. All’Enaip mi sono diplomato in responsabile delle vendite, e adesso spero di trovare un posto. Vorrei continuare a stare in Italia, magari studiare e approfondire le lingue, che sono la mia passione; in Camerun non ci sono possibilità.”

Dalla Nigeria è arrivato Collins: “Per me è abbastanza facile seguire il corso da elettricista all’Enaip, perché in Nigeria facevo già questo mestiere. Il problema più grosso è stato imparare l’italiano. Adesso devo prendere la patente, perché quella nigeriana non è valida.”

Tutti sono arrivati allo stesso modo: deserto, barcone, giorni di fame sete e paura di non farcela a sbarcare “Ma per fortuna– dicono mostrando i diplomiil presente è questo.”

 

Luca Brigada

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